Ugo Baldassarre
A molti può sembrare che la Calabria del vino ruoti quasi esclusivamente attorno al nome di un vitigno, il Gaglioppo. Eppure, anche se il Gaglioppo ne rappresenta il centro, c’è tutto un universo intorno: il patrimonio ampelografico calabrese è straordinariamente ricco, tra i più interessanti d’Italia.
Il lavoro di ricerca sui vitigni minori prende la stura nel 1993, quando in una prima vigna sperimentale vicino Cirò vengono innestati e messi a dimora il Magliocco, l’Arvino, Il Mantonico bianco, il Pecorello. Da subito, Magliocco e Mantonico danno grandi risultati, dimostrano di essere grandi uve da vino. Poi, dal ’99 parte una seconda fase, che vede affiancarsi le migliori professionalità del territorio e l’ARSSA, l’Agenzia Regionale per i Servizi e lo Sviluppo in Agricoltura; vengono coinvolti i Vivai Rauscedo e, ancora, a partire dal 2001, il prof. Attilio Scienza dell’Università di Milano. Nel vigneto sperimentale Rosaneti, in località Rocca di Neto (KR) confluiscono prima i maglioli prelevati dall’areale di Savuto e poi, contestualmente ad un lavoro di zonazione pedologica, la campionatura prelevata praticamente da tutta la Regione: in un breve lasso di tempo, dal 2000 al 2003, dai 25 vitigni iniziali si arriva a circa 200 varietà autoctone.
La ricerca sui vitigni porta inevitabilmente alla luce anche un problema, non facilmente risolvibile, di omonimia, assonanza e duplicazione dell’onomastica varietale; ciò del resto accade in ogni lavoro di ricostruzione storica, in ogni luogo d’Italia e soprattutto in certe aree del Sud, dove lo stesso termine, adoperato a distanza di pochi chilometri, indica varietà sostanzialmente diverse tra loro o dove, al contrario, per indicare l’identico vitigno si adoperano tante definizioni differenti.
Ciò accade, ad esempio, col Magliocco dolce, chiamato comunemente Lacrima, Guarnaccia nera o Arvino nero, anche se quest’ultimo è un genotipo a sé; oppure con lo Iuvarello, che altro non è che il Bianco d’Alessano o ancora l’Uva della Scala che è un altro nome del Mantonico bianco.
Tanti i vitigni e tante le curiosità, a partire dalle locuzioni dialettali con cui sono definiti, il Piedilungo, la Sanguinella, la Lagrima, la Zizza di vacca, il Piedicorto, la Puttanella o il Guardavalle. E ancora: Cerasella, Bastarda Rossa, Sforbiciata, Gaddrica – dalla pronuncia dialettale di Gallica –, Cottunara, Mangiaguerra, Bagnarota, Lampazzona, Pizzuta, Ianculilla, Occhi di lepre, Petruniri, Petrisi, Uva Ruggia, ‘Mparinata, Marchesana, Marcarisa. Tra quelle imparentate con altre regioni del Sud abbiamo Olivella, Corniola, Zibibbo e Zibibeddu, Aglianica, Mangiaguerra, Nero di Sicilia, Calabrese, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese e le tante tipologie di Nerello.
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Da notare, a questo proposito, che, mentre il Niregliu Niru è sicuramente esclusivo del posto, quando si parla di Nerello, sic et simpliciter, si intende invece il Sangiovese. Altre uve locali, alcune ormai anche adoperate definitivamente nelle diverse vinificazioni, sono Marcigliana o Marsigliana nera, Corinto nero, Damascina, Barbieri, Severino, Moscadella bianco e nero, Nocera Mantonico e Merigallo; quest’ultima uva è usata anche nella lavorazione del Moscato di Saracena o, come più correttamente dovrebbe dirsi, di Moscato “alla Saracena”.
Un’altra gamma è quella dei vitigni definiti “greci”, dal Greco nero al Greco bianco e al
Greco “di” Bianco che, a differenza degli altri, è in realtà una Malvasia, molto simile a quella di Bosa e di Sardegna, quella delle Lipari, di Dubrovnik o a quelle spagnole di Banyalbufar o Stiges.
Tra tutti, i vitigni su cui si è soffermata maggiormente l’attenzione degli studiosi, che oggi possiamo definire recuperati, sono:
– Toccarino nero, la cui presenza in Calabria è attestata sin dal primo Seicento, coltivato oggi soprattutto nell’areale di Longobardi (CS). Dà un vino di colore tendente al granato ed ha un buon corredo olfattivo, con frutta rossa e spezie, non ha però grande acidità, struttura e persistenza e viene adoperato in uvaggio con Nocera ed altri vitigni locali.
– Castiglione nero, conosciuto anche come Zucchero, Zagarolese o Cannella, è coltivato soprattutto in area orientale e indicato nell’uvaggio della DOC Bivongi, ha grande intensità di colore, spalla acida, tannino e persistenza aromatica.
– Prunesta nero, ammesso in uvaggio in tutte le IGT calabresi, anche se, allo stato è il meno utilizzato a causa della sua scarsa diffusione.
– I due vitigni a bacca bianca, il Pecorello e la Guarnaccia, accomunati sia dalle buone prospettive future grazie alle ottime caratteristiche di acidità e struttura, sia per l’utilizzo in uvaggio per la produzione di vini fermi e vini spumanti nelle sottozone del Terre di Cosenza DOC. Ambedue, infine, possono essere prodotti in vini con menzione nella stessa DOC sottozona Donnici.
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Presidente dal maggio del 2016 del Consorzio di Tutela dei vini Cirò-Melissa, ci racconta brevemente il percorso fin qui svolto e le prospettive future.
La crescita del movimento del vino in Calabria, in parallelo ad un mutato atteggiamento culturale dei consumatori, è testimoniata anche dall’aumento del numero delle cantine, che ormai sono più di trecento. Alla guida di queste cantine, sempre più spesso, si affacciano le nuove generazioni, giovani imprenditori che hanno saputo coniugare le conoscenze e le tradizioni familiari con un necessario lavoro di ricerca, adeguamento e innovazione tecnologica. Oggi, che la qualità media della produzione ha raggiunto un buon livello, il lavoro più delicato per il Consorzio è quello di trovare nuovi ed efficaci strumenti per la promozione dei vini, individuando nuovi mercati di riferimento. Abbiamo investito in un lavoro di incoming territoriale e puntiamo molto sull’ internazionalizzazione del vino Cirò-Melissa. Da questo punto di vista, un buon obiettivo raggiunto è la percentuale di export, pari al 40% del prodotto, anche se il dato può ancora crescere, soprattutto rispetto a mercati attenti come Giappone, Usa, Germania e Svizzera. Un altro plusvalore, in cui crediamo particolarmente, è il vino rosato, per la cui produzione in purezza il Gaglioppo risulta particolarmente indicato, e per la cui lavorazione oggi si impiega, in generale, il 30% delle uve rosse; ci crediamo a tal punto che recentemente abbiamo anche aderito a “Rosautoctono”, l’Istituto Italiano del Vino Rosa da uve autoctone. [/su_box]
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