LE MARCHE UNA REGIONE VERDE DAL CUORE “EVERGREEN”

Mariella Dubbini

Rimasta fuori dalle rotte principali per la frammentazione delle sue infrastrutture e dominata per secoli dallo Stato Pontificio questa regione, dal carattere introverso, sembra non voler uscire dalla zona di comfort e preferire un’esistenza tranquilla, quasi sonnecchiante. È il paradosso delle Marche: situata nel Centro Italia ma storicamente periferica, una penisola nella Penisola. Il nome – unico al plurale tra le regioni italiane – trae origine da Mark, confine in tedesco arcaico, termine assegnato ai feudi durante il Sacro romano Impero.

Vocata al plurale sotto il profilo culturale e linguistico la regione svela tuttavia un’unicità antropologica e paesaggistica. Piccoli fiumi scivolano tra dolci colline e seducenti borghi arroccati, disegnando sinuose vallate perpendicolari al mare, unica eccezione Matelica.
La notevole presenza collinare – circa il 70% del territorio – ha fatto delle Marche un unicum paesaggistico a dispetto del suo nome. All’origine della bellezza e dell’armonia del paesaggio, profondamente umanizzato dalle coltivazioni, la mezzadria. La specificità dell’agricoltura marchigiana, basata sul modello podere-casa colonica, ha consentito un buon grado di conservazione ambientale e un sostanziale equilibrio tra ruralità e attività produttive.

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Il rapporto secolare tra il mezzadro e la terra che coltivava come fosse la propria, quasi una figlia adottiva, ha creato un legame inscindibile. Le colline modellate, come in un quadro di
Tullio Pericoli, raccontano le mani che hanno plasmato la terra e forgiato le colline, cesellando un paesaggio che ti entra nella pelle. “I marchigiani sono fatti di terra, quella terra che qui sembra colorare tutte le cose” scrive il wine blogger Mauro Fermariello nel suo libro Marche, cogliendo appieno questo vincolo amoroso.

Qui la terra è ovunque. Lo spazio che va dall’Adriatico all’Appennino è ricolmo di colline trapuntate da campi di lavanda, girasole, grano, ulivi e vigne: un grande patchwork cucito da case coloniche, borghi murati e rocche silenziose. Guido Piovene scrisse: “L’Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo; le Marche dell’Italia” convinto che questo microcosmo equivalesse a un’Italia in miniatura. Era il 1957, certamente le cose sono cambiate, ma non stravolte.

Lo sviluppo della “nuova agricoltura” – produzione sostenibile, salvaguardia della biodiversità e protezione dell’ambiente – realizzatosi negli ultimi decenni ha dato origine a un ecosistema, chiave di rilettura culturale ed economica del territorio, grazie anche ai nipoti di quei mezzadri che, sedotti dal richiamo ancestrale della terra, ad essa sono tornati. Negli ultimi venti anni la cultura del vino nelle Marche ha compiuto un enorme balzo in avanti. C’è stata una decisa crescita qualitativa, dovuta anche agli investimenti e al forte rinnovamento in vigna e in cantina sostenuto dai Consorzi – Istituto Marchigiano Tutela Vini e Consorzio Vini Piceni – e alle sinergie tra i produttori associati, tra cui aziende e cooperative storiche, ma la svolta è stata determinata dalle nuove forze messe in campo che, con una energica virata al green, si sono indirizzate al biologico, al biodinamico o hanno aderito al movimento Triple “A”, assumendosi la responsabilità di consegnare alle future generazioni un mondo migliore.

Le giovani leve hanno trovato “la strada spianata” dalla visione green della Regione Marche
che, precorrendo le normative europee, nel 1990 aveva emanato una legge in materia ma anche, e soprattutto, da alcuni avanguardisti – in particolare del Piceno e dei Castelli di Jesi – che già nei primi anni Ottanta si erano orientati al bio e fondato l’Associazione Marchigiana Agricoltura Biologica.

Alcuni di questi pionieri, per ampliare la diffusione di culture sostenibili, nel 2013 hanno dato vita al primo Consorzio verde d’Italia, Terroir Marche. Verde perché l’adesione è riservata a vignaioli ispirati ai principi del biologico o del biodinamico: una forte scelta etica, un approccio olistico all’ecologia. Animato da spirito cooperativo – e non competitivo – questo mutualismo solidale, fatto di condivisione delle esperienze e degli strumenti, sta crescendo tra le vigne e i vignaioli del territorio marchigiano: “La sovversione necessaria è la riappropriazione della terra e dei saperi”, come sosteneva il grande Lugi Veronelli, perché il vino possa raccontare il sapore e la sostanza della terra da cui origina.

 

[su_box title=”I numeri del Bio Made in Marche” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] Le superfici vitate biologiche (incluse quelle in conversione) sono passate dai 3.300 ettari del 2011 ai 5.885 del 2019, registrando un incremento di poco inferiore all’80%, e costituiscono il 38% della superficie vitata complessiva che corrisponde a 15.501 ettari.
Le Marche del vino si attestano così al 3° posto della classifica italiana superfici biologiche – dopo Basilicata e Calabria – con una percentuale che è più del doppio della media nazionale. I dati sono stati attinti dalle elaborazioni realizzate dal SINAB – Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica, progetto del MIPAAF gestito da ISMEA e CIHEAM – sulla base delle informazioni comunicate al 31 dicembre 2019 dagli Organismi di Controllo, dalle Amministrazioni regionali e dal Sistema Informativo Biologico.[/su_box]

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