Ugo Baldassarre
Tutto ha inizio nel 2001, quando il Professor Moschetti viene contattato da un produttore di Taurasi che ha reperito, tra i conferimenti, un’uva diversa dal Greco di Tufo, localmente detta “Grecomusc’” a causa della singolare caratteristica del pericarpo che, anche in piena maturazione, si mostra piuttosto flaccido. Dallo studio realizzato con l’Università Federico II di Napoli il vitigno, identificato e successivamente classificato col nome di Roviello bianco, si dimostra ben presto un’inesauribile fonte di spunti per la scienza enologica. Durante la sperimentazione i campioni di lieviti, isolati in diversi luoghi del vigneto – corteccia, foglie, erba, grappolo integro, beccato o botritizzato – in fermentazione danno risultati eccezionali, permettendo ai vini di differenziarsi in maniera netta da quelli prodotti con lieviti commerciali. Lo stesso Roviello, vinificato in purezza con quei lieviti, con le sue note di agrumi, idrocarburi e pietra focaia, ha affascinato talmente i consumatori da diventare ben presto un vero e proprio cult.
Moschetti porta avanti anche altre ricerche, per la vinificazione del Fiano, dell’Aglianico di Taurasi, del Casavecchia e del Nero d’Avola. Tra le sperimentazioni, quella forse più interessante è sul Catarratto, con cui vengono individuate fonti di isolamento estranee al mondo del vino: i lieviti sono prelevati dagli uccelli, dal miele e anche dalla manna (il dolcificante estratto dalla corteccia del frassino). Nelle diverse prove i lieviti sono stati poi combinati con ceppi commerciali, sia di saccaromiceti che di non saccaromiceti. I migliori risultati sul Catarratto, ottenuti da una combinazione di derivati del miele e saccaromiceti, hanno evidenziato nel vino un profilo aromatico più complesso, soprattutto nell’aspetto tiolico, con sentori fruttati più intensi, agrumi, ginestra e bosso.
In estrema sintesi, ecco gli altri aspetti messi in luce dalle ricerche, partendo da un postulato incontestabile: quanti più fattori esterni, rispetto al vitigno e al suo ambiente, inseriamo nel ciclo lavorativo del vino, tanto più ci allontaneremo dalla sua tipicità, dalla sua territorialità, dalla sua unicità. Per contro, i lieviti originali fanno parte proprio del suo ambiente, del suo terroir. I lieviti selezionati, invece, non sono altro che lieviti indigeni di un particolare areale e poi utilizzati su tutte le tipologie di vino, lieviti che, di conseguenza, non potranno essere in grado di far esprimere fino in fondo la tipicità del vitigno; si può affermare, all’opposto, che contribuiscano all’omologazione del vino.