Marzio Berrugi
Spesso, andando per vini da abbinare alle crostate di pasta frolla, ci imbattiamo in proposte di abbinamento imbarazzanti, penso ad esempio sia quella che vuole il Brachetto, più o meno d’Acqui, accostato ad una pasta frolla ricoperta di uno strato di marmellata di more o di mirtilli. È pur vero che cibo e vino hanno come connotazione principale il dolce, ma la sproporzione strutturale fra cibo e vino è enorme, un po’ come dar in sposa a Gulliver una lillipuziana.
Grande struttura e buona percezione grassa e dolce, grandi vini di corpo, caldi, dolci, densi: i passiti. Facendo attenzione, se si usano marmellate, al colore delle medesime: se di frutta bianca o gialla, passiti da uve bianche, se rosse, passiti da uve a bacca rossa. Frascati Cannellino o Vin Santo con buona vena dolce nel primo caso, Elba Aleatico Passito o Vernaccia nera di Cannara nel secondo. Da evitare passiti con scarsa impronta zuccherina o spumanti tipo la Vernaccia di Serrapetrona perché le marmellate sono sì dolci ma hanno anche un netto finale acidulo che scatena lunga, fredda e sgradevole salivazione se il vino non ha morbidezza e zuccheri evidenti oppure bollicine.
Se si usa il cioccolato più o meno fondente, rossi d’obbligo, su tutti i passiti da vitigno aleatico che possiamo cercare in Toscana e Lazio. Bene anche Vin Santo Occhio di Pernice specialmente di area montepulcianina, forse la migliore.
Se invece usiamo come base la pasta sfoglia, soffice ed elegante, si percepisce una certa diminuzione strutturale che ci porta a vini dolci e semplici al massimo da vendemmie tardive. Fragrante nella sua intensa veste di ciliegia scura, l’Aleatico primeggia quando frutta fresca rossa o cioccolato guarniscono la sfoglia, ma non vanno dimenticati i rossi sardi campidanesi come il Girò o algheresi come l’Anghelu Ruiu, pere, mele, pesche, albicocche fresche o in composta obbligano agli altri dolci campidanesi come Nasco o Malvasia o Moscato quest’ultimo anche di Sorso, sempre nelle versioni non passite.
Mi scuso dell’insistenza con la quale divido l’acino ben maturo da quello appassito, quasi trascurando la valutazione della componente dolce, ma ritengo molto importante il particolare perché profondamente diversa è l’espressione gustolfattiva di questi acini. Fragrante e semplice la prima con i profumi che sembrano galleggiare come fiori nel liquido ricco di zuccheri, più articolata e complessa la seconda dove si fanno largo anche profumi terziari, dalla macchia mediterranea sarda al miele, al cioccolato, a vegetali secchi ed aromatici. Come possono espressioni così diverse tra loro andar bene sulla stessa crostata?
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