Ugo Baldassarre
Dopo un lungo periodo in cui è stato trascurato dai produttori locali, soprattutto a causa del suo essere difficile perché “montano”, dal grappolo spargolo e scarsamente produttivo, il Tintilia, a partire dagli anni ‘80 ha conquistato il centro dell’attenzione della nuova cultura territoriale molisana. Se si considera che gli altri vitigni più diffusi, i vari Aglianico, Trebbiano, Greco, Falanghina, Montepulciano e Sangiovese sono tutti condivisi con le regioni limitrofe, il Tintilia, ormai presente in tutta la regione, può essere considerato l’unico, esclusivo autoctono del Molise. Circa la sua origine, facendo leva sull’etimo “tinto”, che in spagnolo sta per “rosso”, e sulla probabile introduzione sul territorio sul finire del ‘700 ad opera dei Borboni, molti annoverano il Tintilia – o, come dicono in tanti, “la” Tintilia – nella gamma delle uve importate dalla penisola iberica, come l’Alicante, la Guarnaccia o la Catalanesca. In particolare, a lungo è stato accostato al sardo Bovale Grande o al Piedirosso campano ma ha caratteristiche organolettiche piuttosto diverse da quelli, dei marcatori assolutamente unici nel loro genere.
Anche i recenti studi effettuati dal S.A.V.A., il Dipartimento di Scienze Animali Vegetali e dell’Ambiente dell’Università del Molise, ne hanno attestato le caratteristiche genetiche
esclusive. La Doc Tintilia del Molise, del 2011, si inserisce in un panorama regionale fatto di piccoli numeri: poco più di 5.500 ettari vitati in tutto. Una piccola regione, con meno di 4.500 km, che per cultura e tradizioni vinicole è da ricollegare allo storico Samnium, uno dei serbatoi di approvvigionamento dei Romani, la IV Regio, secondo la suddivisione augustea del 7 d.C. Altre tre denominazioni, Molise, Biferno e Pentro d’Isernia, completano il quadro dei vini di qualità. Un 20% della produzione totale, infine, è imbottigliato anche nelle due Igt Terra degli Osci e Rotae.
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Pochi ettari, dicevamo, ma è difficile chiedere di più ad una regione con terreni faticosi, per lo più montuosi e impervi, difficile produrre più vino di qualità in assenza di grandi richieste di mercati esterni e con consumi locali necessariamente contenuti a causa di una demografia limitata e in continua decrescita: si pensi che qui, nell’arco degli ultimi venti anni, si è passati da 320mila abitanti agli attuali 300mila, come dire una diminuzione costante di mille abitanti ogni anno. Il Disciplinare prevede che il Tintilia non possa essere allevato al di sotto dei 200 metri di quota e spesso i vigneti sono posti decisamente più in alto. L’escursione termica, assieme ai terreni argilloso-calcarei ricchi di scheletro, conferiscono un gran corredo acido al vitigno e, di conseguenza, longevità al vino. Ciò consente di produrre varianti assai diverse tra loro, dal rosso giovane a quello di media gittata, produzioni da solo acciaio o con lunghe maturazioni in legno.
Probabilmente la versatilità rappresenta la costante più apprezzabile del vitigno: i vini che ne derivano sono di carattere ma non irruenti, di spessore ma non ingombranti, saldi ed eleganti al tempo stesso. In degustazione sorprendono l’ampiezza e la finezza degli aromi, la costante precisione, l’estrema nettezza. Si va dal piccolo frutto rosso di bosco, a quello nero di rovo, dal ribes alla mora, dalla prugna alla ciliegia ferrovia, dagli odori di sottobosco alle bacche di carrubo; nelle versioni da legno sfumature di spezie e pepe nero ne completano saggiamente il bouquet. Gli abbinamenti possono spingersi dall’agnello “alla pecorara” ai formaggi stagionati, dalla trippa al tartufo. La variante in rosa, prevista nella Doc accanto al rosso e al rosso riserva, si abbina elegantemente anche con la zuppa di pesce.
Si potrà degustare un buon Tintilia per accompagnare altre prelibatezze locali, come gli gnummareddi o le tagliatelle al tartufo, oppure scegliendo alcune fra le tante eccellenze del comparto caseario, come il caciocavallo di Agnone, il pecorino di Capracotta, la stracciata di Carovilli o, infine, con la manteca, il formaggio prodotto dai pastori per proteggere il burro, al suo interno, durante i periodi di transumanza.
[su_box title=”Un Consorzio tutto per il Tintilia” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] Dal maggio del 2017 il Consorzio di tutela della Doc Tintilia del Molise si affianca a quello che raccoglie le altre Doc e Igt della Regione. Dal 2018 lo presiede Pasquale Salvatore: la cresciuta attenzione nei confronti del nostro autoctono ha portato in parallelo ad un sensibile progressivo aumento della produzione. I dati in mio possesso – si badi, riferiti ai soli associati, 11 aziende in tutto – parlano di una raccolta, nel 2018, di oltre duemila quintali di uve, per una produzione di 150mila bottiglie, ma a breve andranno in produzione altri 14 ettari, con un conseguente ulteriore incremento. Il lavoro del consorzio tende a sensibilizzare ulteriormente e diffondere la conoscenza del Tintilia, al fine di favorire produzioni ottimali e coerenti con le tante sfaccettature che il vitigno assume a seconda degli areali, a volte anche molto diversi tra loro, come ad esempio quelli litoranei o quelli più interni e montuosi. Stiamo puntando, inoltre, molto sul rosato, un’ulteriore freccia all’arco della Doc. Infine, siamo impegnati a incentivarne la promozione nei Paesi terzi, principalmente in quelli, come Stati Uniti e Svizzera, dove già prima del Covid si erano intraprese importanti relazioni commerciali sostenute dall’ultima OCM vino 2019/2020. [/su_box]
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