DAZI USA, GRAZIATO IL VINO ITALIANO MA C’È TIMORE PER IL CORONAVIRUS

Stefano Borelli

Pericolo scampato. Almeno per il momento. Il timore che gli USA alzassero fino al 100 per cento i dazi su alcuni prodotti, tra cui il vino italiano, è rientrato. Il 15 febbraio scorso l’Ustr, il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti ha annunciato che non ci saranno aumenti. Rimangono quindi in vigore quelli introdotti nell’ottobre del 2019: balzelli del 25 per cento autorizzati dal Wto (Organizzazione mondiale del commercio) e che avevano colpito alcuni beni italiani, tra cui i liquori. Per ora in campo agroalimentare nulla di più. Se ne potrebbe riparlare tra 6 mesi quando l’Ustr avrà la possibilità di rivedere la lista e nel caso, modificarla.

La vicenda, in realtà, è molto complicata. Risale ad un lodo giudiziario intrapreso davanti al Wto nel 2004 dagli Stati Uniti che accusarono la Comunità Europea e alcuni stati membri di aver dato aiuti di stato illegittimi ad Airbus, causando un danno all’americana Boeing. L’Europa rispose, dal canto suo, presentando un ricorso speculare contro gli aiuti, altrettanto illegittimi, che gli USA avrebbero dato alla compagnia aerea statunitense. Le due questioni giudiziarie hanno marciato parallele per anni e a maggio il Wto si esprimerà anche sui dazi che l’Europa potrà imporre ai beni americani. Ma per il momento entrambi i contendenti, complice anche il timore per l’incertezza dell’economia globale, sembra abbiano deciso di sotterrare l’ascia di guerra.

Secondo alcuni osservatori a incidere sulla decisione è stata anche la paura per il coronavirus. Il Fund Global Institute di Hong Kong ha reso noto che se il virus non sarà messo sotto controllo entro l’estate il rallentamento dell’economia cinese potrebbe essere del 4 per cento (nel primo semestre). E la recessione, assumere dimensioni planetarie. Il calo dell’economia del paese asiatico potrebbe portare ad una flessione dei consumi interni e di richiesta di beni importati. Con danni per tutti. Per l’Eurostat l’Italia è il quarto fornitore tra i paesi europei con un export di 13,2 miliardi di euro tra cui formaggi, caffè e vino. Ma a risentirne sarà anche il settore del turismo. Una stima ottimistica della Confesercenti fa prevedere un meno 30 per cento di presenze in Italia con forti contraccolpi sul made in Italy. Ogni turista cinese spende infatti da noi, in media, circa 1100 euro: beni di lusso, moda e agroalimentare, bottiglie pregiate di vino in primis.

L’Europa, dal canto suo, ha ancora la grana Brexit da sbrigare. Ratificata l’uscita della Gran Bretagna dall’UE il 31 gennaio 2020, resta ora da trovare un’intesa sulle future relazioni tra le due parti in causa, dal commercio alla sicurezza interna, ai trasporti, alla condivisione di dati. Secondo il Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, il periodo di transizione tutt’ora in vigore fino al 31 dicembre 2020 andrebbe rivalutato, visto che il tempo per raggiungere nuovi accordi sulle future relazioni è veramente poco. Un’ipotesi che il Premier britannico Boris Johnson ha sempre però scartato, dicendosi convinto che i mesi a disposizione sono più che sufficienti. Se però non si riuscisse a trovare un accordo commerciale in tempo utile, il Regno Unito si troverebbe ad affrontare una situazione sgradita a tutti: il tanto temuto No Deal che vedrebbe la reintroduzione di dazi e dogane per i beni importati ed esportati con l’Unione Europea.

E per finire, tornando dall’altra parte del mondo, qualche preoccupazione viene anche dall’Indonesia che per rispondere al boicottaggio europeo sull’olio di palma ha deciso di bloccare tutte le licenze di importazione di alcolici (gestite dallo Stato). Uno stop, dal dicembre del 2019, ad un mercato che per l’Italia vale poco più di due milioni di euro (dati Istat). Ma che viene dal quarto paese più popoloso del mondo con 270 milioni di abitanti, e tantissimi giovani che stanno adottando abitudini alimentari occidentali.