Antonio Mazzitelli
Un forziere ampelografico piccolo piccolo (3.261 km quadrati l’intera regione); incastonato a Nord-Ovest sulle Alpi Occidentali, onusto dei picchi innevati del Cervino, del Monte Rosa, del Gran Paradiso e di sua maestà il Monte Bianco. Punteggiata di castelli, forti, chiese, monumenti romani, la Valle d’Aosta è attraversata da una delle arterie della fede, la Via Francigena. Espressione di un sincretismo culturale a partire dal bilinguismo italo-francese, fino ad arrivare all’utilizzo del franco-provenzale, del Walser e di altri idiomi di ceppo teutonico quali il Töitschu e il Titsch.
A fronte di tanta complessità antropologico-culturale, si deve necessariamente aggiungere una clamorosa biodiversità ampelografica: seppur giocato su numeri esigui rispetto alla produzione nazionale (circa 336 ettari di superficie vitata, di cui più del 60% situata in montagna, per una produzione di circa 25.000 ettolitri), la Valle d’Aosta presenta uno scacchiere di vitigni e tipologie veramente notevole.
Una storia che parte da lontano, dalla conquista romana in epoca augustea e che, con alterne vicende (superando anche i flagelli dell’oidio, della peronospora e della fillossera), arriva ai giorni nostri; nel 1971-72 i vini Donnas ed Enfer d’Arvier ottengono la Doc, mentre nel 1985 si ottiene la Doc regionale (Valle d’Aosta o Vallée d’Aoste Doc), che racchiude tutte le produzioni di qualità del territorio.
Partiamo dal factotum: la Dora Baltea, l’unico fiume italiano a completo regime nivo -glaciale (quindi con abbondante portata in tutte le stagioni), che con le sue valli taglia la regione. Dal fiume, a raggiera, partono le 7 sottodenominazioni di area della Doc: Blanc de Morgex et de La Salle, Enfer d’Arvier, Torrette, Nus, Chambave, Arnad-Montjovet e Donnas. Si possono utilizzare anche 15 sottodenominazioni di vitigno.