LE AREE VITIVINICOLE EMERGENTI, GUIDATI
DALL’ENOLOGO CARLO FERRINI
Lara Loreti
Ma che Nebbiolo eccezionale! Piemonte? No, Valtellina. E che Sangiovese intrigante. È toscano? Macché, viene dalla Romagna. E che dire di una profumata Malvasia lucana, di un fresco Bianchello delle Marche o di un’avvolgente Tintilia molisana?
L’Italia del vino non finisce mai di stupire. Ogni angolo del territorio serba una perla da scoprire, annusare, degustare. E raccontare. Da Nord a Sud, proviamo a esplorare questo mondo vitivinicolo ancora sulla rampa di lancio, con una guida esperta del calibro di Carlo Ferrini, enologo toscano tra i più noti d’Italia. Terrazze di argilla e silicio, alture da capogiro, vigneti sospesi su pendici scoscese. Vera e propria chicca incastonata fra le montagne, la Valtellina è un territorio difficile, ma altrettanto stimolante. “Chi produce in Valtellina – commenta Ferrini – lo fa con grandi sforzi per le pendenze forti, è una viticoltura eroica, realizzata del tutto a mano”. L’uva regina è il Nebbiolo e il Consorzio, fondato nel 1976, vanta due IGT: Valtellina Superiore e Sforzato di Valtellina (Sfursat), a cui si affiancano altre denominazioni quali il Rosso di Valtellina Doc e l’Igt Terrazze Retiche di Sondrio. “Sono vini eleganti, sottili e dai grandi profumi – spiega l’enologo – Qui il Nebbiolo è coltivato in alto e, rispetto al Piemonte, dà vita a vini più fini, dalla corposità relativa, con bella acidità e notevole persistenza”.
Attraversa una fase di grande vivacità l’Emilia Romagna, da sempre un po’ in ombra rispetto alla vicina Toscana. Oggi, però, inizia a prendersi qualche rivincita, soprattutto nelle aree di Bertinoro e Modigliana. “Ci sono colline stupende dove la viticoltura trova un habitat perfetto – nota Ferrini – Non esiste più l’Emilia Romagna che punta solo a una produzione di quantità, diverse aziende cercano qualità e studiano a fondo il territorio. Un esempio su tutti: un tempo in pochi apprezzavano il Lambrusco, che oggi invece sta emergendo in tutta la sua personalità. Del resto, il fiore all’occhiello della regione è sempre stato il turismo, ed è strategico offrire le proprie eccellenze, anche enologiche”.
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Scendiamo nel Centro Italia e facciamo tappa nelle Marche: eccoci nel regno del Verdicchio, un’uva autoctona, coltivata da 400 produttori in 23 comuni dell’Anconetano e in due della provincia di Macerata, perfetta per realizzare vini longevi: alle spalle una lunga storia, basti dire che nel 2018 si sono celebrati i 50 anni della denominazione Verdicchio dei Castelli di Jesi. Eppure, fino a ieri questo vitigno è stato lasciato un po’ da parte. “Ho grande stima del Verdicchio delle Marche e credo che finora sia stato molto sottovalutato – riflette l’esperto – Sul mercato ci sono bottiglie dai prezzi irrisori. E non capisco come un territorio stupendo e con un’uva così bella sia così poco valorizzato. Oggi se ne sente parlare di più rispetto al passato, ma è ancora troppo poco”. Ma Marche è anche Bianchello del Metauro, vino DOC che dà il meglio di sé nella zona di Pesaro e Urbino, senza dimenticare intriganti prove di coltivazione di Pinot Nero sui rilievi più dolci della regione.
Restiamo nel Centro Italia e facciamo un salto in quella Toscana che non fa rima solo con Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Nobile di Montepulciano e Bolgheri, ma anche con Val d’Orcia, Colline Pisane e in Maremma Montecucco e Bianco di Pitigliano. Una Toscana meno blasonata che scalpita ai “box”. “La regione ormai è tutta vitata – riflette Ferrini, che da fiorentino gioca in casa – Merito anche di aziende importanti che valorizzano il territorio: produttori come Frescobaldi, Mazzei e Brancaia hanno spinto in avanti i vini della Maremma, così come Donatella Cinelli Colombini sta facendo la fortuna della Val d’Orcia”. Oltre ai testimonial, dietro questo successo c’è la ricerca di terroir nuovi e di produzioni diverse. “Oggi c’è chi coltiva il Pinot Nero sull’Appenino – aggiunge l’esperto – il punto è cercare terreni adatti a quei particolari vitigni. Ed è ciò che sta accadendo in Toscana, ma non solo”.
E che dire del Molise? “È all’inizio della sua avventura, ha sofferto molto della presenza dell’Abruzzo, di cui si può considerare il fratello minore – dice l’enologo – io segnalerei bianchi come il Trebbiano e il Pecorino, oltre al rosso di Montepulciano”. Da provare anche l’uva rossa, autoctona, Tintilia.
Andando più a Sud, se si parla di zone del vino emergenti, impossibile non citare la Calabria e le sue uve, in primis il Gaglioppo, come fa notare Ferrini: “Oggi nell’ambito vitivinicolo è la regione meno conosciuta d’Italia, ma chi investe adesso in quei territori fa un affare; la Calabria ha altitudini importanti, località bellissime, un mare che è la fine del mondo, buon turismo, terreni vitati in abbondanza”. Il potenziale è altissimo, soprattutto sulle pendici dell’Aspromonte.
Perché in Italia tutta questa ricchezza vitivinicola emerge proprio ora? Risponde l’enologo: “Oggi questi territori vengono a galla un po’ per curiosità, un po’ per la voglia di mettersi in gioco in aree nuove perché la viticoltura nelle zone più note spesso ha costi altissimi. Ma c’è anche un altro aspetto: la viticoltura ha le sue fasi. In Italia negli anni ‘80-90 gli enologi, io per primo, si sono dedicati alla ricerca, alla mappatura di territori più vocati, alla selezione clonale, alla sperimentazione di vitigni stranieri, soprattutto francesi. E il risultato è che oggi abbiamo dei vini meravigliosi a base di Sangiovese, Nero d’Avola e Nebbiolo, per fare degli esempi. La stessa cosa sta accadendo ora, in quello che potremmo definire un nuovo Rinascimento del vino”.
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