Marzio Berrugi
Freschi o secchi? Questo è il dilemma: se sia da preferire una ciotola di fave fresche e tenere appena sgusciate, dolci, sposate a piccoli bocconi di pancetta e di formaggio fresco – in Toscana cacio baccellone – oppure sfidar la bilancia ammollando un pugno di fave secche e dure poi cuocerle e ridurle in crema odorosa di leggero soffritto con un filo d’olio finale a giro, la C del signor Indro, ed onorare così la memoria dei nostri antenati italici che del macco, questo il nome del piatto, avevano fatto l’alimento base nelle loro conquiste. Già in queste due preparazioni si scorgono linee guida per poter arrivare ad un buon abbinamento col vino. Se freschi ed appena sgusciati i legumi mantengono una nota dolce, come i piselli, mentre le fave hanno finale metallico e leggermente astringente. Se secchi gli amidi la fanno da padrone e si scontrano con il tannino dei rossi ed il giro d’olio ricordato, si tratti dell’antico macco, della più famosa ribollita o della più semplice minestra di fagioli passati, porta grasso e morbidezza che avvolge l’amaro del tannino. Sì perché con piatti a base di legumi secchi interi o passati si impone vino rosso di struttura contenuta, giovane, da vitigni che hanno tannino morbido e non molto aggressivo.