Ugo Baldassarre
Nella parola è contenuta la risposta: interregionale è quel territorio, comune a regioni amministrative differenti, per il quale vige la medesima regolamentazione.
Territori amministrativi diversi, dunque, accomunati dal disciplinare di produzione. E, forse, per comprendere meglio e fino in fondo il fenomeno, occorre proprio partire dal disciplinare, da quello strumento dettagliato, emanato a corredo del decreto ministeriale di riconoscimento della denominazione, che impone una serie di attività, di pratiche, di limiti e di risultati finali per poter ottenerne l’attribuzione.
Le parti fisse di uno schema di disciplinare sono, in ordine rigoroso: la descrizione delle tipologie produttive consentite, la base ampelografica, la zona di produzione e le norme per la viticoltura (tra queste, assumono particolare rilevanza la densità degli impianti e la resa massima per ettaro). Ancora, a seguire, vengono indicati: zona di vinificazione, norme per vinificazione e affinamento, resa uva/vino e zona di imbottigliamento. Quest’ultima non sempre coincide con l’area di produzione: nella Denominazione Prosecco, ad esempio, dietro particolari autorizzazioni è consentita l’attività di imbottigliamento anche fuori dalla zona di produzione, nelle province confinanti. L’ultima parte è destinata alle caratteristiche del prodotto al consumo, a partire da quelle organolettiche e, poi, alle indicazioni dell’acidità totale minima, dell’estratto non riduttore minimo e del titolo alcolometrico volumico minimo totale; ognuno di questi parametri viene fissato per singola tipologia prevista in denominazione. A chiudere le norme su etichettatura e confezionamento.
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Ma, attenzione, c’è un’ultimissima parte del disciplinare su cui generalmente non ci si sofferma a sufficienza: è quella che ricostruisce il legame con l’ambiente geografico, distinta in fattori naturali e fattori umani. In questa parte è tutto racchiuso il perché della doc, dell’esigenza di tutelare, attraverso la sua attribuzione, quel nesso speciale che esiste tra vitigno, vino, uomo e territorio. Personalmente, trovo che il termine legame, oltre che suggestivo, sia anche il più adatto a raccontare perché un gruppo di coltivatori, di aziende, abbia reclamato l’attribuzione di un riconoscimento, di un nome esclusivo da assegnare al frutto del proprio lavoro.
In questa parte c’è la dimostrazione scientifica dell’omogeneità sostanziale dal punto di vista climatico e dei suoli di tutto l’areale anche quando questo appartenga a Regioni diverse e di come i vitigni si siano acclimatati aldilà di eventuali sfumature territoriali, anch’esse puntualmente descritte nel disciplinare. C’è poi l’ulteriore traccia storica, spesso legata a scritti e testimonianze, che racconta la presenza in quei diversi luoghi dello stesso tipo di vino e le relative pratiche colturali e produttive adoperate, spesso assai risalenti nel tempo. E anche qui, per quanto riguarda le Doc interregionali, la cultura, l’atteggiamento dei popoli che si sono succeduti nei secoli nei diversi villaggi, feudi, paesi o comuni nel territorio della doc, la storia ci parla di una sostanziale convergenza, laddove magari per altre usanze o produzioni possono esserci significative differenze. Tutto ciò spiega l’esigenza del legislatore di riunire alcuni territori, contigui ma interregionali, all’interno di un’unica trattazione normativa della denominazione.
In chiusura, voglio trarre lo spunto dall’argomento delle “doc che sconfinano” per porre un altro elemento di riflessione. In un percorso didattico, lo studio delle denominazioni di specifiche zone, le cosiddette enografie, è un momento irrinunciabile, di sicuro quello immediatamente più utile al fine di collocare e conoscere le diverse realtà produttive esistenti. Può capitare talvolta però, così come capita in Italia nelle dodici denominazioni interregionali, che le zone vitivinicole non coincidano o non rientrino nei confini amministrativi (capita molto più spesso in altri Paesi, a cominciare dalla Francia, dove non solo il sistema di classificazione è disomogeneo nei diversi territori, ma non è neppure possibile stabilire alcuna utile relazione tra departments amministrativi e vini).
Ecco perché è buona pratica affiancare alle cartografie tradizionali anche quelle dei cosiddetti macro-areali, così come ormai è pratica didattica diffusa. Sarebbe quindi anche utile, oltre che coinvolgente, poter realizzare anche delle mappe, delle enografie per vitigno, giacché è proprio il vitigno a suggerire, quasi a disegnare esso stesso il proprio terroir di elezione, è il vitigno che storicamente ha dovuto combattere e resistere e poi si è sviluppato e ambientato in areali solo apparentemente diversi, anche non appartenenti alla stessa regione. “Tu pianta nello stesso luogo più vitigni diversi, abbandonali per qualche anno e poi torna a vedere chi è sopravvissuto: quello è il vitigno di quel luogo”: così diceva un saggio enologo. A ben riflettere, questo è anche il concetto di autoctonia. [/ihc-hide-content]
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