Antonio Mazzitelli
La Libertà, l’Amore e il Vino (declinati in ordine di importanza) non hanno confini; non si fanno ingabbiare da dogane; non tracciano frontiere. Per quanto riguarda il bramato oggetto del nostro studio, le Denominazioni (introdotte in maniera organica dalla Legge 144 del 10 febbraio 1992 Nuova disciplina delle denominazioni d’origine dei vini) hanno portato chiarezza e contribuito a risollevare un panorama vinicolo italiano, squassato dallo scandalo del metanolo del 1986. Con le successive modifiche legislative, ci si rende via via conto che alcune Denominazioni non possono essere contenute all’interno di una sola regione. Per varie motivazioni:
• assenza di soluzione di continuità territoriale;
• esigenza di allargare la zona storica (anche per ragioni commerciali), sconfinando nella regione limitrofa;
• richiesta dei produttori confinanti (ma appartenenti ad altra regione) di afferire ad una denominazione prestigiosa;
• continuità della presenza storica e culturale di un determinato vitigno.
Cominciano così a nascere le Doc interregionali e nel 2010 (a partire dalla Doc – anch’essa interregionale – Lison-Pramaggiore, tutt’ora esistente) vede la luce la prima Docg interregionale, Lison Docg, a cavallo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, atta soprattutto a valorizzare quel magnifico vitigno che si rivela il Tai. Oggi nel nostro paese abbiamo quindi 1 Docg e 11 Doc interregionali (cfr tabella) Assai emblematico è il caso del Prosecco e del suo inarrestabile successo, che fortunatamente ancora continua. È stata proprio la Regione Veneto, in pieno accordo con la Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia, a promuovere, nel 2009, il varo di un disciplinare atto alla creazione di una Doc per tutti quei vini che fanno riferimento al vitigno Prosecco (Glera, per meglio dire).[ihc-hide-content ihc_mb_type=”block” ihc_mb_who=”unreg” ihc_mb_template=”3″ ]
Naturalmente rimangono come punto di riferimento le zone storiche del Prosecco, che si possono fregiare delle due Docg Asolo e Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene; quest’ultima anche nella tipologia “Riva di…” (a seguire il nome del Comune), riservata a spumanti provenienti da un unico comune e dai pendii più ripidi e anche nella specifica Superiore di Cartizze, riservata a 108 preziosi ettari sulla collina omonima, ai quali si concedono 120 quintali per ettaro di produzione.
È ovvio – e ciò vale per tutte le Denominazioni interregionali – che ci troviamo di fronte a condizioni diverse (suoli, ventilazioni, escursioni termiche etc.) e quindi a prodotti diversificati; questo spesso non è un male, anzi, ma ci impone ancor più del solito un’attenzione particolare alle indicazioni riguardanti eventuali zonazioni, condizioni pedo-climatiche etc. Clamoroso, in questo senso, il caso dell’Orvieto: la Doc Orvieto fu approvata ad Agosto del 1971; visto il crescente successo dei prodotti di questa zona magica, il legislatore, con successive modifiche al disciplinare, ha allargato i confini della Doc, aggiungendo prima altri comuni della provincia di Terni, poi cinque comuni della provincia di Viterbo, trasformando così la Doc Orvieto in una delle più prestigiose Doc interregionali italiane; la menzione Orvieto Classico comprende solo la zona storica intorno alla Rupe di Orvieto, delimitata dalla Valle del Paglia e alle località ad essa afferenti.
Questo evolversi nel tempo della formazione territoriale della Denominazione ci pone di fronte a un caleidoscopio di interpretazioni, ad un panorama che contribuisce a creare quella diversità, quelle micro-peculiarità, che la nostra viticultura riesce a donarci.
Un corretto approccio allo studio di una Denominazione interregionale (come dimostrano gli esempi appena citati) prevede la capacità di interpretare i singoli prodotti nel contesto della propria unicità, alla luce degli elementi che tengono insieme il territorio e alla luce degli elementi che invece diversificano le differenti espressioni enoiche: ciò è quello che io chiamo dire di vino, a significare che di vino se ne debba parlare, se ne possa bere, se ne debba godere appieno l’intrinseca complessità.
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