MURETTI A SECCO NON SOLO OPERE D’ARTE DA PRESERVARE

INTERVISTA A EMANUELE RASO GEOLOGO
DEL PARCO NAZIONALE DELLE CINQUE TERRE

Alice Lupi

Quando si parla di viticoltura eroica si parla giocoforza di antropizzazione. I terrazzamenti e i muretti a secco ne sono l’espressione. Dal punto di vista
geologico quale funzione hanno?
I muri a secco sono l’espressione più autentica del territorio delle Cinque Terre: a livello geologico in senso ampio queste opere hanno tra le loro funzioni principali quelle di contrastare i fenomeni erosivi concentrati ed areali, regimare le acque superficiali e canalizzarle verso il fondovalle; sono quindi dei veri e propri serbatoi che consentono di rilasciare piano piano le acque filtrate attraverso la terra posta dietro al muro ed evitare un ruscellamento diffuso e dannoso. Hanno inoltre una preziosa funzione in relazione alla preservazione di biodiversità, consentendo lo sviluppo di flora e fauna negli interstizi tra le pietre.

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Qual è la materia prima con cui si costruiscono i muretti a secco?
I muri a secco si costruiscono con le pietre ricavate storicamente da piccole cave di prestito o da accumuli di frana. Le differenze a livello geologico nelle diverse zone del Parco si riflettono quindi nei materiali da costruzione utilizzati per i muri. A livello strutturale, le parti principali di un muro a secco sono il paramento frontale, costituito dalle pietre migliori sempre posizionate “di punta” e che via via diminuiscono di dimensione al progredire della costruzione del muro stesso, ed il “drenaggio”, ossia la parte di collegamento tra il paramento ed il terreno sciolto posto dietro al muro, che ha funzione importantissima di dissipare le acque del terreno ed evitare pericolose concentrazioni di pressione che causerebbero la deformazione del muro stesso, il cosiddetto “spanciamento”.

 

Quale e quanta cura richiedono i muretti a secco? È necessaria un’azione di monitoraggio e controllo del territorio costante?
I muri a secco richiedono una cura costante: proprio l’assenza di legante e quindi di una struttura rigida portano il muro a deformarsi progressivamente e talvolta a “spanciare” o perdere alcune pietre dalla porzione apicale (la cosiddetta “testa” del muro); in questo caso l’intervento deve essere repentino per evitare che le acque superficiali approfondiscano il danno o che intere porzioni del paramento collassino. Il monitoraggio non è semplice per via dell’estrema diffusione a livello areale dei muri stessi, si privilegia quindi un approccio quantitativo che consiste nel censimento dei crolli/danneggiamento avvenuti ed il successivo ripristino.

Negli ultimi decenni, ci sono stati fenomeni di abbandono ma anche di riconversione parziali di queste terre. Qual è stata la vostra esperienza come Parco? Ci sono progetti di recupero?
Il picco negativo è stato sicuramente raggiunto circa 8-9 anni fa, immediatamente dopo la disastrosa alluvione dell’Ottobre 2011 che colpì in particolare i borghi di Monterosso al Mare e Vernazza ed i versanti circostanti; a seguito di questo evento, si è verificata una ripresa dell’attività agricola e del relativo recupero di aree abbandonate. Diversi sono i progetti messi in campo dal Parco Nazionale delle Cinque Terre, tra cui la banca del lavoro, che consente ad aziende agricole e singoli proprietari di avvalersi di manodopera qualificata a fini agricoli, i contributi relativi al ripristino di muri a secco, la fornitura di materiale lapideo e soprattutto alcuni progetti europei di ampio respiro, quale ad esempio Stonewallsforlife, di cui il Parco 5 Terre è capofila in un partenariato composto tra gli altri da Università di Genova, Legambiente, Provincia di Barcellona, ITRB consulting e Fondazione Manarola: l’obiettivo è quello di ripristinare 6 ettari di muri a secco nel sito pilota intorno al borgo di Manarola e testare alcune soluzioni innovative nell’ambito della biodiversità e dell’adattamento ai cambiamenti climatici.

 

[su_box title=”Chi è Emanuele Raso?” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] Emanuele Raso è attualmente geologo presso il Parco Nazionale delle Cinque Terre e coordinatore del Progetto europeo Stonewallsforlife; Dottore di Ricerca in Scienze della Terra presso l’Università di Genova nel 2017 con esperienze di lavoro e ricerca in USA e Cina, ha svolto per due anni l’attività di ricercatore a contratto presso l’Università Federico II di Napoli ed ha ricoperto, dal 2015 al 2020, la carica di Assessore ai lavori pubblici e all’urbanistica presso il Comune di Monterosso al Mare.[/su_box]

 

[su_box title=”I numeri del vino nelle Cinque Terre” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] 25 produttori
2 tipologie di vino Doc identificative del territorio: Cinque Terre e Sciacchetrà
150 ettari di superficie coltivata a vigneto (contro il 500 ettari di circa 60 anni fa)
6.000 chilometri lineari di muri a secco
8 milioni di metri cubi di pietre
(Fonte Uff. Comunicazione Parco Nazionale delle Cinque Terre) [/su_box]

 

[su_box title=”Parco Nazionale delle Cinque Terre” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] Il Parco Nazionale delle Cinque Terre è stato istituito il 6 ottobre 1999 con Decreto del Presidente della Repubblica. Il territorio del Parco Nazionale delle Cinque Terre, tra i più piccoli d’Italia e allo stesso tempo il più densamente popolato, ha un’estensione di 3.868 ettari e una popolazione di circa 4.000 abitanti. Comprende i Comuni di Riomaggiore, Vernazza, Monterosso al Mare, La Spezia (zona Tramonti) e Levanto (zona Mesco). Il Parco Nazionale delle Cinque Terre è tutelato dall’Unesco. Nel 1997, è stato inserito nella lista del World Heritage come Patrimonio Naturale Mondiale dell’Umanità.[/su_box]

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