Enrico Zamboni
“Peculiaris est tudernis”, così Plinio il Vecchio descriveva, nella sua Naturalis historia, quella caratteristica uva amarognola già usata dagli Etruschi, riferendosi probabilmente al Grechetto, protagonista indiscusso di questa Doc.
Tale testimonianza ci mostra come la cultura enologica fosse radicata, in questo territorio, già ai tempi dei Tusci, dieci secoli prima di Cristo.
Fu in quest’epoca, infatti, che gli Etruschi conquistarono la rupe e fondarono l’antica città di Velzna, successivamente rinominata dai Romani “Urbs Vetus”. E furono proprio gli Etruschi a realizzare, all’interno della rupe, un primordiale sistema di lavorazione e trasformazione delle uve con un sistema a caduta a tre livelli, ripreso oggi sempre più spesso dalle moderne cantine.
Ad un primo livello, le uve venivano raccolte e pigiate, ed il mosto – tramite idonee tubature in coccio – colava nel livello sottostante dove avveniva la fermentazione. Dopo la svinatura, il vino si trasferiva ad un livello ancora più profondo dove avveniva la maturazione e l’affinamento. Su questo sistema di camere, inoltre, si aprivano delle bocchette di ventilazione che garantivano la qualità del prodotto. Il legame indissolubile tra territorio e uve si è tramandato fino ai tempi moderni, con periodi floridi di notorietà e fama che hanno attratto l’interesse di Papi, poeti ed artisti.
La popolarità che il vino di Orvieto aveva presso lo Stato Pontificio gli valse niente di meno il ‘’titolo’’ di moneta, tanto che molti artisti scelsero di essere pagati per le proprie opere proprio con la fornitura di questo vino amabile, frizzante e molto piacevole.