Enrico Zamboni
“Peculiaris est tudernis”, così Plinio il Vecchio descriveva, nella sua Naturalis historia, quella caratteristica uva amarognola già usata dagli Etruschi, riferendosi probabilmente al Grechetto, protagonista indiscusso di questa Doc.
Tale testimonianza ci mostra come la cultura enologica fosse radicata, in questo territorio, già ai tempi dei Tusci, dieci secoli prima di Cristo.
Fu in quest’epoca, infatti, che gli Etruschi conquistarono la rupe e fondarono l’antica città di Velzna, successivamente rinominata dai Romani “Urbs Vetus”. E furono proprio gli Etruschi a realizzare, all’interno della rupe, un primordiale sistema di lavorazione e trasformazione delle uve con un sistema a caduta a tre livelli, ripreso oggi sempre più spesso dalle moderne cantine.
Ad un primo livello, le uve venivano raccolte e pigiate, ed il mosto – tramite idonee tubature in coccio – colava nel livello sottostante dove avveniva la fermentazione. Dopo la svinatura, il vino si trasferiva ad un livello ancora più profondo dove avveniva la maturazione e l’affinamento. Su questo sistema di camere, inoltre, si aprivano delle bocchette di ventilazione che garantivano la qualità del prodotto. Il legame indissolubile tra territorio e uve si è tramandato fino ai tempi moderni, con periodi floridi di notorietà e fama che hanno attratto l’interesse di Papi, poeti ed artisti.
La popolarità che il vino di Orvieto aveva presso lo Stato Pontificio gli valse niente di meno il ‘’titolo’’ di moneta, tanto che molti artisti scelsero di essere pagati per le proprie opere proprio con la fornitura di questo vino amabile, frizzante e molto piacevole.
[ihc-hide-content ihc_mb_type=”block” ihc_mb_who=”unreg” ihc_mb_template=”3″ ]
Ma fu solo nel 1931, con il primo tentativo di classificazione e tutela delle produzioni vitinicole italiane, che l’Orvieto venne catalogato come vino tipico. L’area delimitata dal DM 23.10.1931 costituisce, ad oggi, la sottozona “Classico” ed il vino ivi prodotto può fregiarsi di tale menzione in etichetta.
Il riconoscimento della Doc, invece, arrivò nel 1971, certificandone il legame con il territorio. Territorio che, con la sua eterogeneità, vanta una vastità di prodotti con caratteristiche uniche e peculiari, strettamente legate al posizionamento delle vigne. Si trovano, infatti, terreni tufacei, nelle zone del viterbese di origine vulcanica; terreni argillosi, nella parte centro settentrionale; terreni sabbiosi, a nord-est e terreni di origine alluvionale, in prossimità del fiume Paglia.
Anche la variabilità climatica, che apporta forti escursioni termiche, contribuisce a fornire ai vini di Orvieto grande complessità. Oggi Orvieto Doc è sinonimo di impegno, miglioramento continuo, e il desiderio di affrancarsi dalla fama di vino sfuso prodotto massivamente. Nel tempo, grazie al minuzioso lavoro svolto da cantine e produttori, l’Orvieto Doc è riuscito a ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto nel panorama enologico italiano, nonostante la scomoda vicinanza con la Toscana ed i suoi vini, caratterizzandosi per quel particolare dono che la natura ha voluto fare al territorio di Orvieto: lo sviluppo della Muffa Nobile.
È questo, infatti, uno dei pochi areali del panorama viticolo italiano dove la Botrytis Cinerea assume un’esclusiva forma manifestandosi e dando origine a dei vini sontuosi, con sentori che vanno dal miele all’albicocca, con punte di tostatura. Un’ultima chicca, a testimoniare l’affinità che il territorio di Orvieto ha da sempre con le “bevande” alcoliche: l’Orvietan, un composto dolce che si diceva avesse proprietà curative, un vero e proprio elisir per combattere le malattie.
Non propriamente un vino, ma un vero e proprio “rimedio universale”, la cui ricetta segreta veniva tramandata di generazione in generazione, acquisendone con essa i diritti alla vendita. Fu proprio un orvietano che diede al prodotto una valenza più ampia, proponendolo anche a Luigi XIV Re di Francia, il celebre Re Sole. L’apprezzamento da parte del monarca francese portò fama all’Orvietan, che trovò popolarità e diffusione in tutta Europa, fino ad essere citato nella commedia L’Amour Médecin di Molière. La sua fortuna durò fino al XIX secolo, quando l’avvento delle prime medicine sostituì i rimedi naturali. [/ihc-hide-content]
Scrivi un Commento