Stefano Borelli
Professore cosa possono raccontare le anfore ad un archeologo?
Possono raccontare più di qualsiasi altro oggetto del mondo antico, più del marmo, della pittura, dei gioielli, dei vetri. Lo studio del commercio di vino è stato infatti il cuore degli studi archeologici degli ultimi 50 anni, incentrati sull’antico Mediterraneo e sul suo impatto nella parte occidentale dell’Emisfero. Studiare il vino è stata anche la chiave di volta per capire l’evoluzione, lo zenit e il declino dell’impero romano.
Il vino dunque come uno dei grandi protagonisti dell’Antichità?
Il vino è stato al centro dei commerci dell’antichità non solo nel Mediterraneo. Sono stati trovati reperti legati al vino nei paesi Baltici, vascelli romani con anfore nel mare al largo di Dublino, nel sud dell’India, nell’Africa sud-orientale.
Quando è nata la cultura del vino?
Bere vino ha assunto dimensioni trans-mediterranee intorno al settimo secolo avanti Cristo, grazie ai Greci che avviarono commerci con molte popolazioni, portando le loro anfore. Nel Lazio e nell’Etruria le scambiavano con i metalli. Tracce di questa prima e più antica “era” del bere furono trovate anche in Borgogna, in una zona che si chiama Vix. Qui fu rinvenuto, in una tomba di una principessa, il famoso “cratere”, un enorme recipiente di bronzo usato per mescolare vino datato 540 a.C., ciò dimostra che anche i Celti facevano parte di questa cultura.
Roma fu uno dei protagonisti di questo periodo?
Con la crescita di Roma, il vino diventò un’industria. Lo ricorda il Monte dei Cocci a Testaccio, una collina costruita con i resti delle anfore. Nel periodo che va dal primo secolo a.C. al primo secolo d.C. tutti erano coinvolti nel mondo del vino: dal pastore del più remoto villaggio degli Abruzzi, al contadino che lavorava i campi nel sud Italia.
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