NESOS, IL VINO DI CHIO 2500 ANNI DOPO

INTERVISTA AL PROF. ATTILIO SCIENZA SU UN ORIGINALE ESPERIMENTO DI ARCHEOLOGIA ENOLOGICA

Emanuele Cenghiaro

Un vino antico, misterioso, un’antica frode e due isole meravigliose. Ce ne sarebbe per scrivere un romanzo, invece è lo sfondo di un originale esperimento che unisce enologia e archeologia, ideato dal prof. Attilio Scienza e realizzato dall’azienda agricola Arrighi.

Stiamo parlando del tentativo di riprodurre all’isola d’Elba il vino di Chio, celebre nell’antichità per il gusto intenso e per la sua “ricetta segreta”, a quei tempi gelosamente conservata.
Era da tempo che cercavo di fare questa prova di archeologia sperimentale: ipotizzavo a Salina, nelle Lipari, ma non si era potuta realizzare. Il produttore Arrighi mi ha proposto di farlo con loro e così è stato. L’interesse non è tanto nella qualità del vino prodotto quanto nel  ripercorrere una tecnica di lavorazione che nel IV e V secolo a.C. era rara e davvero particolare”.

Un esperimento che fa luce anche su un misterioso traffico d’anfore…
Esatto. Qualche anno fa gli archeologi dell’Università di Siena ritrovarono molte anfore dell’isola di Chio sui fondali del Tirreno. Chio però è piccola e non poteva avere una produzione di vino tale da giustificare quell’alto numero di contenitori. Si scoprì che la gran parte delle anfore erano imitazioni provenienti da una fornace a nord di Grosseto, dove gli etruschi producevano contenitori che imitavano quelli di celebri vini del Mediterraneo. E dentro non c’erano i vini che avrebbero dovuto esserci: una frode!

Quel vino era diretto in Italia?
No. Gli abitanti di Chio, che avevano capito il valore del contenitore e l’avevano fatto progettare da Prassitele, il più importante artista greco dell’epoca, con il loro vino e la loro bellissima anfora avevano conquistato Marsiglia, porta d’ingresso verso la Gallia nonché il mercato più ricco dell’Europa di allora. Gli etruschi, capito l’affare, imitarono l’anfora ma anche il modo di fare il vino sottraendo il mercato ai greci.

Per vedere l’articolo completo : Leggilo qui

[ihc-hide-content ihc_mb_type=”block” ihc_mb_who=”unreg” ihc_mb_template=”3″ ]

Qual era il segreto del vino di Chio?
Era dolce, alcolico e molto aromatico, di un sapore molto diverso dai vini classici ottenuti con la ‘tecnica di Esiodo’. Il poeta greco ci racconta di un vino dolce fatto da uva lasciata al sole per tre settimane e poi pigiata, a Chio invece si usava immergere per qualche giorno l’uva nell’acqua del mare. L’azione del sale scioglieva la pruina, la cera che protegge l’acino, cosicché l’uva appassiva in pochissimo tempo, evitando l’azione disastrosa sull’acino di una lunga esposizione al sole. A livello chimico-fisico, poi, il sale ‘demoliva’ parte delle pareti cellulari dell’epidermide permettendo a una maggiore quantità di sostanze aromatiche di passare nel mosto nella fase di macerazione. Infine, il sale consentiva una lunga conservazione in alternativa alla resina usata allora nei vini greci.

Che uva avete utilizzato?
Non disponendo di resti organici da analizzare abbiamo utilizzato l’uva Ansonica, o Inzolia, coltivata anche all’Elba. Abbiamo infatti scoperto grandi attinenze tra questa e due vitigni greci molto diffusi nelle isole del Peloponneso, il Roditis e soprattutto il Sideritis, il cui nome, che deriva da sideros (ferro), richiama l’acino duro e croccante che ben si presta a una lavorazione particolare come quella fatta a Chio. Ne è risultato un vino stile orange, con colore carico e un’importante sensazione ossidativa, com’era nello stile del vino.

Cosa può dire questo esperimento ai produttori di oggi?
Siamo sempre in cerca di equilibrio tra tradizione e innovazione, ma il retaggio del passato è stato in gran parte perso, abbandonato oppure tradito in ossequio alle esigenze del consumatore moderno, che necessita di vini adatti alla propria epoca, al suo modo di vivere e alla sua alimentazione. Non si torna indietro: rifare però i vini del passato, con le tecniche usate allora, può essere una valida proposta per integrare, non per sostituire, i vini moderni con prodotti inventati in un altro periodo storico e per un altro tipo di consumatore.

[su_box title=”Chi è Attilio Scienza?” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”]Attilio Scienza è uno tra i più autorevoli studiosi internazionali del mondo della vite. Si è laureato in Scienze agrarie a Piacenza e dal 2004 è professore ordinario di viticoltura all’Università di Milano. È stato direttore dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige, membro dei comitati scientifici di numerose riviste internazionali di viticoltura e enologia e responsabile di numerosi progetti di ricerca nel campo dell’agronomia, della fisiologia e della genetica della vite. È Accademico ordinario dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino e Socio Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili. Dal 2018 è responsabile scientifico della Vinitaly International Academy.[/su_box]

 

 

POSIZIONAMENTO IN ACQUA DELLE NASSE CONTENENTI L’UVA

 

[/ihc-hide-content]