“STATUTO, DISCIPLINARE, ASSAGGI: IN TRIVENETO DISCUTIAMO SU TUTTO, MA FACCIAMO SQUADRA”

INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL CONSORZIO VINI DOC DELLE VENEZIE, ALBINO ARMANI: “IL SEGRETO DEL NOSTRO SUCCESSO? CONFRONTO, REGOLE PRECISE E
UN GRANDE PINOT GRIGIO”

Lara Loreti

“Nel mondo di oggi c’è abbondanza di tecnologie, imprenditori, denaro, capitali a rischio.
Quello che scarseggia sono i grandi team”. Ne è convinto lo psicologo e scrittore americano
Daniel Goleman, padre dell’intelligenza emotiva. Spesso non è facile trovare realtà che fanno del lavoro di squadra il proprio must. Ma con le dovute eccezioni. Un esempio? Ventinovemila ettari su tre regioni diverse, una filiera di quasi 7.000 viticoltori, 550 vinificatori e 400 imbottigliatori. Un’unica regia: il Consorzio Vini Doc delle Venezie, madre putativa di altre venti storiche doc sparse tra Veneto, Trentino e Friuli. Un gruppo in crescita, nonostante l’emergenza Covid: quasi 230 milioni di bottiglie nel 2019 e un aumento degli imbottigliamenti del 4,64% da gennaio a settembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Unico comune denominatore, il Pinot Grigio: quello della Doc delle Venezie rappresenta circa l’85% della produzione italiana e il 43% di quella mondiale. Un’uva che si identifica col territorio, con una mission precisa: promuovere la qualità, innovando. L’ultimo nato è il Pinot Grigio rosato. A rivelarci il segreto del successo del Consorzio, nato nel 2017, è il Presidente Albino Armani.

Il Consorzio comprende tre regioni, come fate ad andare d’accordo?
Non è un’impresa facile. Il Consorzio attraversa il Veneto, che rappresenta quasi la metà (45-50%), il Friuli (35%) e il Trentino (15%). E ogni territorio è diverso. La cosa più complessa è stata individuare un ente in grado di controllare l’intera filiera, con pratiche uguali. Un lavoro che oggi fa per tutti Triveneto Certificazione. È poi fondamentale il contatto quotidiano con sindacati agricoli, coop, imbottigliatori privati e così via. Tutte persone in dialettica costante tra loro e con le altre Doc storiche. Il Pinot Grigio italiano va tutelato in maniera coordinata. Siamo i primi al mondo: con 29mila ettari siamo più grandi del Prosecco, e la responsabilità è grande. Servono collegialità e confronto, ma anche regole precise e certe.

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Quali sono gli elementi imprescindibili della cooperazione?
Statuto del Consorzio, controllo e disciplinare. Il primo è un tema delicato che chiama in causa la collegialità. Chi rappresenta i territori? Quali sono i pesi? Ad esempio, il Trentino pesa meno sul piano produttivo ma è un grande imbottigliatore, il Friuli imbottiglia poco, ma ha superfici vitate importanti, il Veneto ha tantissimi vigneti… Decidere quanti esponenti nel Cda dovesse avere una regione rispetto all’altra non è stata una passeggiata. Ma abbiamo trovato una quadra, assegnando i ruoli sulla base di tutti i criteri di produttività, e non solo degli ettari vitati. Oltre ai territori, abbiamo tenuto conto delle tre categorie quali viticoltura, cantine di trasformazione e imbottigliamento, tutte pesate in modo corretto in uno Statuto inclusivo. C’è poi la certificazione, che deve essere perfetta: abbiamo un meccanismo, con unico database, che misura vigneto per vigneto e distribuisce il riconoscimento delle “fascette” di Stato, grazie al lavoro di decine di commissioni di degustazione che valutano il prodotto, con assaggi incrociati fra regioni. Infine, il Disciplinare, grande punto di riferimento: oggi possiamo cambiarlo senza il placet delle Regioni. Infatti, la scorsa estate è arrivato il via libera da Bruxelles, con la conseguente iscrizione nel registro europeo. Ora potremo accedere ai fondi Ue Ocm per la promozione, che finora è stata a carico solo dei soci.

 

Qual è il rapporto con i singoli territori?
Con le denominazioni locali c’è condivisione di obiettivi: noi abbiamo registrato quasi un più 6% di produzione, e anche loro crescono. Certo, chi vuole imbottigliare con Le Venezie deve avere caratteristiche omogenee basate su standard riconoscibili: qualità, colore e così via.

C’è identificazione tra territorio e Pinot Grigio?
Sicuramente. Negli ultimi 30 anni è emersa tutta la valenza del vitigno e il suo peso per le comunità locali: l’indotto nel Nordest comprende almeno 15mila famiglie. Questa si chiama economia sociale.

Di recente sono state abbassate le rese dell’uva, ciò vuol dire che aumenterà il prezzo?
Per l’Igt la resa era di 190 quintali di uva per ettaro, con la Doc l’abbiamo portata a 180, poi a 150, e quest’anno a 130 quintali, ponendo a stoccaggio gli altri 20 per fare qualità. Quanto al prezzo, il Consorzio non può toccarlo, ma è chiaro che se metto sul mercato meno rese, il valore cresce. Basti dire che con la vendemmia 2020, le uve sono state valutate il 10% in più rispetto al 2019. Oggi una bottiglia costa dai 10 ai 20 dollari sullo scaffale negli Usa; in Italia è sui 5-7 euro nella grande distribuzione, 10 in enoteca.

L’export della Doc delle Venezie va a gonfie vele, in Italia invece il prodotto stenta a decollare, perché?
Negli Usa continuiamo a crescere, gli americani amano il Pinot Grigio. L’export nel Nord America (Canada incluso) rappresenta il 44%, poi arrivano Regno Unito col 27% e Germania col 10%. Il mercato domestico si attesta intorno al 6%: in Italia siamo stati vittime del nostro successo all’estero. Ma ora stiamo promuovendo il prodotto nel nostro Paese anche attraverso studi scientifici sull’uva con le università.

Come sarà il Pinot Grigio vinificato in rosa?
Finora non si poteva scrivere “rosato” in etichetta, il vino poteva solo essere descritto sul retro. Oggi possiamo produrre quest’uva dal bianco al rosa con sfumature più calde ramate. È un colore nuovo, bellissimo, che non ha bisogno di tagli. E al palato sorprenderà.

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