UNA VITICOLTURA CHIAMATA EROICA

INTERVISTA A ROBERTO GAUDIO, PRESIDENTE USCENTE DI CERVIM

Emanuele Cenghiaro

 

È la viticoltura delle zone particolarmente difficili, come montagna e piccole isole, e così è stata definita dall’articolo 7 del Testo Unico del Vino (L. 238/2016) e dal Decreto attuativo emanato a inizio estate, mutuando un’espressione coniata dal Cervim, istituzione di interesse europeo che ha sede in Val d’Aosta.

 

Il Cervim ha coniato il termine viticoltura “eroica”. Che cosa voleva intendere?
Le caratteristiche della viticoltura oggi chiamata eroica, anche dalla normativa italiana, sono state definite dal Cervim all’inizio degli anni Duemila: vigneti a un’altitudine superiore ai 500 metri s.l.m., o su terreni con una pendenza superiore al 30 per cento, oppure sistemi viticoli terrazzati o a gradoni o, infine, sistemi viticoli delle piccole isole. È sufficiente una sola di queste caratteristiche. Questo è quanto è stato recepito anche dal Decreto interministeriale dedicato alla viticoltura eroica.

 E il termine “eroica”?
Nel 2011 presentammo a livello comunitario il marchio “Viticoltura eroica”, un marchio collettivo di appartenenza. Piano piano il termine è venuto ad essere sempre più riconosciuto dai tecnici, dagli esperti, dai wine lover. È stata una grande soddisfazione il fatto che, nella legge quadro della vite e del vino, nel 2016, un articolo sia stato specificamente dedicato alla salvaguardia dei vigneti “eroici” e “storici”, e il termine eroico sia passato da brand a qualcosa di più concreto e tangibile.

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Storico e eroico: si può fare confusione?
No, perché la distinzione è abbastanza chiara. Il termine eroico si lega all’orografia del terreno, che comporta tutta una serie di difficoltà lavorative, di realizzazione e conduzione del vigneto: si pensi che un ettaro richieda in media 1800 ore di lavoro annue contro le 60 in pianura. L’altro termine indica la storicità, che può essere la forma di coltivazione o gli anni di esistenza di quel vigneto, che potrebbe però trovarsi anche in pianura. Il decreto attuativo rafforza tuttavia la presa di coscienza che questa viticoltura ha una propria valenza, strategia e importanza. Non stanzia direttamente risorse ma rinvia alle regioni tutta la parte attuativa e organizzativa.

Quale valore può apportare a quei territori la viticoltura?
Per prima cosa, sottolineo che i vigneti eroici non sono musei a cielo aperto: di norma, anzi, si trovano in zone dove il turismo è la voce più importante dell’economia locale. La presenza di un vigneto segna fortemente un paesaggio ed è evidente quindi che il paesaggio vitato svolga un’azione, diretta e indiretta, a sostegno del turismo e dell’economia. Come presidente del Cervim ho sempre creduto molto nell’abbinamento prodotto-paesaggio. La sfida vera che abbiamo in queste aree è che, quando qualcuno beve un vino prodotto in questi contesti, sia esso un wine lover o un degustatore, ne stia bevendo anche il paesaggio.

E dal punto di vista socioculturale?
La produzione di vini ha un ritorno economico che interessa quei territori anche dal punto di vista sociale: si pensi all’occupazione, o al non abbandono delle terre e alla loro manutenzione, difesa e salvaguardia. L’abbandono porta a problemi come il dissesto idrogeologico.

Possiamo dare per scontato che siano vini di qualità?
I vini prodotti in queste zone sono di qualità oggettivamente elevata. Di più, derivano in gran parte da vitigni autoctoni, che si trovano solo nelle loro aree e sono ciò che dà il valore aggiunto al proprio vino; in molti casi sono anche contesti fillossera free, come l’alta Valle d’Aosta o l’isola di Sant’Antioco. Il concorso Mondial des Vins Extrêmes da noi promosso ha proprio la finalità di riconoscere e far conoscere la qualità di questi vini.

Quando lei pensa alla viticoltura eroica, a che luoghi pensa?
Sono molti, in quasi tutte le regioni italiane. Penso alla Val d’Aosta ma anche a luoghi come la Costiera amalfitana, la Liguria, la Valtellina, la Candia dei Colli Apuani, la Val di Cembra in Trentino, la Valle dell’Isarco, e poi le isole come Elba, Giglio, Eolie, Ischia, Sant’Antioco e Capri, Ponza, Ventotene, Pantelleria, Ustica… Proprio a un vino di Ustica l’anno scorso è stato assegnato il Gran Premio Cervim al nostro Mondial des Vins Extrêmes 2019.

[su_box title=”Che cos’è il CERVIM?” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”]
Il Cervim “Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura Montana” è stato istituito nel 1987 con legge della Regione Autonoma Valle d’Aosta; successive normative, l’ultima delle quali nel 2004, gli hanno dato valenza internazionale. Nel tempo si è trasformato da centro di ricerca a punto di riferimento per la viticoltura di montagna ed eroica. Il Cervim, oltre a promuovere progetti europei (attualmente è impegnato in un progetto italo-francese per la viticoltura di montagna e in uno con la Svizzera per la valorizzazione del paesaggio terrazzato transfrontaliero), organizza il “Mondial des Vins Extrêmes” e un congresso annuale sulla viticoltura di montagna in forte pendenza. Dall’estate 2020 a Roberto Gaudio è subentrato, come presidente Cervim, il viticultore valdostano Stefano Celi. [/su_box]

[su_box title=”Chi è Roberto Gaudio? ” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] Di professione agronomo, per diversi anni è stato consulente del Cervim e coordinatore dal 2000 al 2005, prima di esserne eletto presidente nel 2011, carica che ha rivestito fino a quest’estate 2020. È stato presidente dell’Ordine dei dottori agronomi e forestali della Val d’Aosta dal 1992 al 2001.[/su_box]

 

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