VALTELLINA, 2500 KM DI MURETTI CHE INCORNICIANO TERRAZZAMENTI VITATI MILLENARI

Emanuele Cenghiaro

Quando si parla di agricoltura e di paesaggi di montagna non si può tralasciare una delle aree più emblematiche in Italia: la Valtellina. La Fondazione Provinea, braccio operativo del Consorzio di tutela dei vini di Valtellina per la salvaguardia del patrimonio terrazzato vitato, è nata nel 2003. Ce ne parla Cristina Scarpellini, viticultrice e Presidente della Fondazione.

Grazie ai suoi celebri muretti a secco, la Valtellina è entrata tra i patrimoni Unesco. Che cosa in particolare viene valorizzato?
La nostra valle è l’area vitata terrazzata più ampia d’Italia, circa 980 ettari, per un totale di 2.500 chilometri di muretti. Per questo, tutelare il paesaggio in Valtellina significa tutelare la viticoltura, non sono cose distinte. Tutta l’area Doc si estende su terrazzamenti, si parla di circa 60 chilometri, da Ardenno salendo fino a Tirano. Dal 2018 l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio mondiale, tra i beni immateriali, l’arte della costruzione dei muri a secco della Valtellina. Da qualche mese abbiamo anche terminato un dossier per candidare l’area terrazzata vitata valtellinese all’iscrizione nel Registro nazionale del Paesaggio rurale storico italiano, presso il Ministero delle Politiche agricole (Mipaaf).

Che tipo di terrazzamenti sono e a quando risalgono?
Sono terrazzamenti nati per creare dei terrapieni, perché c’era la necessità di un’agricoltura di sostentamento. Risalgono addirittura a un migliaio di anni fa, e sono muretti a secco, ovvero fatti solo di pietra. Hanno di norma circa un metro di altezza, ma possono arrivare anche a quattro e più. Si facevano allora come oggi, e l’Unesco tutela proprio il modo di costruirli, riconosciuto come un’Arte. Noi lavoriamo per trasmetterla, e al contempo ricostruirli dove si può: in questo senso, stiamo facendo un importante lavoro con le scuole professionali per insegna re l’arte di costruire questi muretti, perché vi siano dei giovani che ne facciano una professione, unica nel suo genere.

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Qual è il principale nemico da cui difendere questi terrazzamenti? L’uomo?
No, in questo caso il primo problema è la questione idrogeologica. Quanto all’uomo, è molto difficile che un viticultore della Valtellina pensi di abbattere un muro con altezze così ampie per cambiare tipo di conduzione. Certo, potrebbe capitare, soprattutto sul conoide dove i muretti a secco sono più rari. Ma la viticultura qui nasce così, sui muretti: non possiamo abbatterli. Naturalmente, gran parte del nostro lavoro è sensibilizzare e concertare il territorio. Il dissesto non arriva se mantieni il territorio. Se i muretti sono in buono stato, a meno che non vi sia un’alluvione, sostengono e contengono.

Nel 2009 Ermanno Olmi ha girato un documentario su di voi, Le rupi del vino. Oggi, dopo il riconoscimento Unesco, è ancora più attuale?
Certo, ed è ancora molto richiesto! È un documentario sullo stile di Olmi. Chi ha visto L’albero degli zoccoli può capire cosa intendo: una narrazione lenta, molto approfondita, con attenzione al dettaglio. Narra la storia della nostra viticultura partendo dalla tradizione di cura. Parla di vendemmia, della ricostruzione dei muretti.

Insomma, di viticoltura eroica, come oggi la chiama anche la normativa italiana…
È vero. Però noi non ci sentiamo eroi; siamo eroici, storicamente, certo, ma io oggi metterei più in evidenza che si tratta di viticoltura di qualità. Pensi che per preservarla facciamo persino la vendemmia con l’elicottero: in quota si riempie il tino, che poi viene sollevato e portato a valle per via aerea. Quindi, l’eroicità c’è, ma è legata alla grande qualità e non solo alla grande fatica; fa parte di questo percorso ma non è l’unica caratteristica. Nel documentario di Olmi questo traspare; anche se la pellicola ha qualche anno, ci si ritrova tutta l’essenza del lavoro duro, quello legato alla tradizione. Unisce cultura e coltura.

Ma voi come vi sentite, come viticoltori, a operare in luoghi così impervi?
Ci sentiamo davvero dei privilegiati. D’altra parte, facciamo tre milioni e mezzo di bottiglie, e sono tutte di alta qualità, come potremmo sentirci diversamente? È un po’ come l’area francese dell’Hermitage: una di quelle aree molto piccole che devono essere assolutamente valorizzate, e per questo si lavora molto sulla qualità. Se penso alla storia della Valtellina, però, una volta non era una cosa così scontata: parlo di periodi in cui si produceva molta uva e la si vendeva nei paesi vicini, come la Svizzera. A quel tempo si faceva un ragionamento opposto: ma era molti anni fa, naturalmente. Con le nuove generazioni è cambiato molto, e lo dice una viticultrice che è bergamasca e si è trasferita qui proprio per produrre vino. Non è un caso che i mercati internazionali oggi ci apprezzino e ci diano così tanta attenzione. Anche il mercato nazionale ha una conoscenza oggi più consapevole e la curiosità sta crescendo moltissimo negli ultimi anni. Certamente anche noi produttori stiamo comunicando di più.

 

[su_box title=”Approfondimento” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”] Le rupi del vino. Film documentario di Ermanno Olmi, del 2009, dedicato alla viticoltura eroica della Valtellina. [/su_box]

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