CHI CONOSCE IL VINO VA BENE IN GEOGRAFIA

Stefania Zolotti

COME PERSONE, CI SI RESTA MALE SE SI VIENE CHIAMATI COL NOME SBAGLIATO. UN NOME È UN’IDENTITÀ CHE VA PROTETTA, CIÒ VALE ANCHE PER IL VINO.

Il Sommelier Magazine CHI CONOSCE IL VINO VA BENE IN GEOGRAFIA

I nomi dei vitigni sono tanti, solo gli autoctoni italiani superano le 500 varietà registrate e quasi il doppio sono quelle depositate nei centri di ricerca: tutte più o meno conosciute, più o meno valorizzate, più o meno in estinzione. La pretesa non è ricordarsele dalla a alla zeta ma almeno capirle e collegarle, compito affascinante e serio anche per i sommelier. Come riconoscerle? Viaggiando, anche col bicchiere. Uno dei primi fili da tirare in Italia è quello che parte dalla Sardegna e si chiama Cannonau, simbolo della viticoltura mediterranea occidentale. Tirare quel filo vuol dire toccare anche la Catalogna, la Corsica, il Roussillon. Le famiglie del vino sono fatte di fratelli e di cugini: cambiano i nomi e le geografie ma le matrici restano. La genetica ha già rassicurato sulla parentela: dimostrata – per oltre un 80% – la coincidenza di “carattere” tra il Cannonau, la Garnacha spagnola e il Grenache francese, per citare i capofamiglia.

È certamente Grenache il nome superiore, quello a cui si associano per istinto e per inerzia anche tutti gli altri; sono lui e la sua famiglia a contare oltre 200mila ettari vitati in giro per il mondo e ad essere presi come metro di misura (destando, non di rado, anche i sospetti degli esperti). Allungando quel filo immaginario nel bicchiere, che diventa mappa e un po’ valigia, l’affinità del Cannonau e del Grenache si ritrova anche nel Tai Rosso dei Colli Berici in Veneto, nell’Alicante della Toscana, nel Gamay del Trasimeno in Umbria. Le uve di questa famiglia conoscono bene la fatica dei climi caldi eppure ne escono sempre eleganti, mai sgualciti dalle temperature, raffinati, persino croccanti, profumati da farsi ricordare. Lasciano trapelare la matrice di una somiglianza che giustamente sfuma nei singoli caratteri e nelle diverse geografie. Somigliarsi non è un difetto del vino.

Sono i vini di chi ama gli spostamenti non troppo comodi, la sferzata imprevista, la tenacia di essere arrivati in fondo al viaggio. Per chi fa il sommelier, una delle cartine tornasole potrebbero essere i Colli Berici, a due passi da Vicenza: un territorio ancora poco conosciuto che nasconde tesori. Sono uno specchio corretto dell’Italia e del suo patrimonio nel bicchiere, la conferma che nelle piccole geografie è più semplice decifrare i meccanismi di ciò che accade nelle grandi. Un buon metodo per testare il livello del turismo del vino in Italia è entrare nei bar principali all’ora dell’aperitivo, osservare cosa bevono, ascoltare i discorsi e i dialetti, fare domande sui vini della zona fingendosi ignari e senza rivelare l’identità da sommelier.

Oppure, al ristorante o in enoteca, leggere con cura le carte dei vini e chiedere i se, i ma, i dove. Il turismo che funziona dipende anche dalle domande e risposte giuste. Purtroppo non siamo un Paese così pronto ad argomentare bene il vino e il linguaggio che passa nel servizio dei ristoranti sa ancora, troppo, di finzione.
Tecnicismi imparati a memoria.
Frasi fatte.
Eccessiva ritualità.
I sommelier sono una delle cerniere più preziose del turismo del vino perché hanno la possibilità di raccontare ciò che altri non vedono attraverso un bicchiere. Il turismo del vino ha fame di bellezza e di informazioni che diano precedenza a un sentimento: è quella la vera cartolina ricordo che non viene più spedita. I sommelier potrebbero prendersi un primato: riscoprirsi geografi, storici, artisti. C’è un’Italia che ha bisogno di essere rinnovata nella sua identità e nel suo nome. Un’Italia del vino che chiede di essere viaggiata e descritta meglio.

Non è un peccato che gli italiani conoscano bene le provenienze regionali dei cibi e fatichino ad orientarsi sulle geografie dei vini? Anche da questo si dovrebbe misurare la cultura di un Paese come il nostro. Provate a fare un esperimento: chiedete a un amico non esperto di indicarvi almeno cinque vitigni autoctoni di cinque regioni diverse. Se non lo sa, caricatelo in macchina e partite insieme.

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