Giampaolo Zuliani
Il viticultore ha da sempre utilizzato numerosi strumenti per la gestione della quotidianità che lo hanno coadiuvato nella cura del vigneto e nella trasformazione e conservazione del prodotto. Una forbice, un falcetto, una semplice zappa, sino a giungere ai contenitori in legno, caratelli o grandi botti, costituiscono un patrimonio di memoria alla quale attingere per comprendere più profondamente il lavoro del viticultore. Alcuni di questi strumenti, in contesti particolarmente significativi, talvolta vengono musealizzati per costituire un percorso didattico tematico. Alcune aziende storiche dedicano uno spazio preciso all’interno dei propri locali dove esporre al visitatore la memoria del lavoro che ha contribuito a costituire la storia dell’azienda.
Il Museo del vino di Torgiano, MUVIT, è un esempio di museo, gestito da una fondazione privata, che riesce a coniugare la storia della viticoltura del Mediterraneo, attraverso un percorso didattico che si articola in numerosi spazi espositivi, con la storia della viticoltura umbra. Nelle sale si susseguono strumenti, attrezzature, contenitori, spazi di lavoro ricreati artificiosamente che trasportano il visitatore nella quotidianità che per secoli ha contribuito a costituire il nostro patrimonio viticolo. Abbiamo posto alcune domande al Professore Pietro Clemente, antropologo e titolare della cattedra di Antropologia Culturale della Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze.