GLI STRUMENTI DI LAVORO MUSEALIZZATI

Giampaolo Zuliani

Il viticultore ha da sempre utilizzato numerosi strumenti per la gestione della quotidianità che lo hanno coadiuvato nella cura del vigneto e nella trasformazione e conservazione del prodotto. Una forbice, un falcetto, una semplice zappa, sino a giungere ai contenitori in legno, caratelli o grandi botti, costituiscono un patrimonio di memoria alla quale attingere per comprendere più profondamente il lavoro del viticultore. Alcuni di questi strumenti, in contesti particolarmente significativi, talvolta vengono musealizzati per costituire un percorso didattico tematico. Alcune aziende storiche dedicano uno spazio preciso all’interno dei propri locali dove esporre al visitatore la memoria del lavoro che ha contribuito a costituire la storia dell’azienda.

Il Museo del vino di Torgiano, MUVIT, è un esempio di museo, gestito da una fondazione privata, che riesce a coniugare la storia della viticoltura del Mediterraneo, attraverso un percorso didattico che si articola in numerosi spazi espositivi, con la storia della viticoltura umbra. Nelle sale si susseguono strumenti, attrezzature, contenitori, spazi di lavoro ricreati artificiosamente che trasportano il visitatore nella quotidianità che per secoli ha contribuito a costituire il nostro patrimonio viticolo. Abbiamo posto alcune domande al Professore Pietro Clemente, antropologo e titolare della cattedra di Antropologia Culturale della Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze.

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Il Sommelier Magazine GLI STRUMENTI DI LAVORO MUSEALIZZATI

Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari

Il Sommelier Magazine GLI STRUMENTI DI LAVORO MUSEALIZZATI

 

Cosa accade ad uno strumento quando esaurisce la sua funzione di lavoro per diventare un oggetto espositivo?
Lo strumento passa da una logica funzionale a una logica comunicativa; il suo contesto non è più il lavoro ma è la memoria di esso. Anche se nel mondo della comunicazione quello strumento resterà legato alla sua funzione (da taglio, da percussione) questa però verrà trasmessa concettualmente e non realizzata fisicamente. Non è mai escluso però che uno strumento musealizzato possa tornare alla sua prima funzione o per una necessità o per una occasione dimostrativa.

Come viene percepito dal visitatore in questa nuova veste?
Lo strumento viene percepito in modi diversi che dipendono dal visitatore e dalle sue esperienze-competenze. Per esempio se si trattasse di una falce fienaia, un bimbo potrebbe averla vista come rappresentazione della morte, un anziano come uno strumento di lavoro e noterebbe magari le differenze che ci sono da quello che usava lui in un’altra zona. Ci sono strumenti la cui funzione si capisce subito, altri più misteriosi e il visitatore può essere incuriosito, spinto a capire, guardando la didascalia o il film in cui l’oggetto è in azione. Ci sono visitatori ignari dell’uso, che si innamorano dell’aspetto estetico di un aratro o di una falce, mentre ci sono esperti visitatori che ne percepiranno le peculiarità ai più invisibili come le ammanicature o il legno usato. Le percezioni sono tante e diverse, dalla nostalgia alla estraneità, dalla indifferenza alla curiosità, dalla conoscenza del ciclo lavorativo fino al desiderio di mimarne l’uso. Il legame rimane sempre la memoria tra la funzione dell’oggetto e chi l’ha utilizzato. Sull’Isola del Giglio, in Toscana, passeggiando tra il mirto e il lentisco si possono osservare ancora i palmenti, le vasche in granito, utilizzate nel periodo romano per ammostare l’uva nel vigneto. La memoria corre spontaneamente alle migliaia di braccia e gambe immerse nel tempo a pigiare, mescolare, il succo zuccherino che poi diverrà la bevanda con la storia più antica dei prodotti agricoli del Mediterraneo.

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