“IL VINO CHE VERRÀ”: intuizione, scienza e cuore

Graziana Grassini, allieva di Giacomo Tachis e oggi tra le voci più autorevoli dell’enologia italiana, racconta la sfida di fare vino tra cambiamento climatico, nuove tecnologie e sensibilità emergenti: un futuro che si costruisce ascoltando la vigna, il mercato e sé stessi. Dall’uso dell’intelligenza artificiale alla gestione sartoriale della cantina, dalle varietà resistenti ai nuovi linguaggi dei giovani, un viaggio lucido e appassionato dentro l’evoluzione del gusto – e del mestiere.

Oggi l’enologo è un po’ il regista dietro le quinte dei vini che arriveranno nei calici. Secondo lei, quanto è importante saper leggere i trend di consumo e quanto invece guidarli? Come riesce a trovare l’equilibrio tra seguire le tendenze del mercato e mantenere una visione personale nella creazione del vino?

L’enologo è il trait d’union tra le esigenze del mercato e il terroir. È necessario tenere in considerazione le tendenze perché, se facessimo il vino che piace esclusivamente a noi, il rischio sarebbe di non venderlo. La complessità è data dal fatto che è impossibile fare un prodotto per ogni mercato perché la percezione dei sapori e degli odori è diversa a seconda delle popolazioni. Ad esempio, il gusto di un europeo è molto distante da quello di un consumatore che vive in Asia. Le aziende più piccole, caratterizzate da produzioni limitate, hanno l’opportunità di modellare con più flessibilità i vini pur mantenendosi fedeli alla filosofia e al terroir, cosa leggermente più complessa per le aziende più strutturate. Personalmente, passo molto tempo a osservare, chiedere, interrogarmi, ma anche ad ascoltarmi.


Il legame con Giacomo Tachis ha segnato profondamente il suo percorso. Che cosa le ha insegnato, oltre la tecnica? In che modo la sua visione vive ancora oggi nel suo lavoro quotidiano?

La cosa che mi torna sempre in mente è la sua esortazione a essere sempre una donna libera di scegliere, imparziale e indipendente. È un insegnamento che mi porto dentro e che mi accompagna sempre. Ricordo ancora quando mi disse “Graziana, studia sempre”, con una stretta di mano, guardandomi negli occhi. Fu uno dei nostri ultimi incontri. Era un invito a non fermarsi mai, perché con il vino bisogna muoversi sempre, come lui stesso è in costante evoluzione.


La viticoltura sta già sentendo gli effetti del cambiamento climatico: vendemmie anticipate, siccità, equilibri in vigna che mutano. Quali adattamenti sta adottando o consigliando per mantenere la qualità dei vini? E come immagina cambierà il modo di fare vino nei prossimi anni?

Credo fermamente che tutto parta dal vigneto. Se lì si lavora bene, in cantina è possibile davvero limitare gli interventi. Tra gli strumenti che ritengo più utili e che utilizzo regolarmente, c’è sicuramente la gestione del freddo. Abbassare la temperatura delle uve appena arrivate in cantina non è solo una tecnica di conservazione, è un modo per ripristinare l’equilibrio biochimico del frutto dopo lo stress del raccolto, soprattutto in annate calde. L’altro grande alleato, soprattutto nei vini rossi, è l’ossigeno. Una corretta gestione dell’apporto ossidativo permette di ammorbidire tannini potenzialmente aggressivi, che altrimenti rischierebbero di tradursi in sensazioni erbacee o spigolose.


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