PARLA IL WINE MAKER ROBERTO CIPRESSO:
Lara Loreti
Bere un vino esclusivo ed emozionante è come navigare in un oceano blu: c’è una miriade di pesci, di ogni forma e colore… Ma a un tratto ecco una sirena: il suo fascino è unico e irresistibile, non si confonde con le altre creature anfibie. È lei a dare forma all’acqua. Ed è lei la metafora del prodotto eccezionale di cui stiamo parlando: un vino che sa distinguersi in modo che gli altri lo riconoscano e ne apprezzino l’indiscusso valore. Ma come si fa a realizzare? È un sogno? Non proprio. Il perché e il come ce li spiega Roberto Cipresso, wine maker dei due mondi, nel suo curriculum esperienze in America Latina e California, docente universitario negli Usa nonché ideatore del progetto Wine Circus e titolare dell’azienda vitivinicola Poggio al Sole a Montalcino. È sua l’intuizione di applicare la Strategia dell’Oceano Blu, illustrata nell’omonimo libro del 2005 dagli autori W. Chan Kim e Renée Mauborgne, al mondo dei tannini.
Come nasce l’idea di accostare la Blue Ocean Strategy al vino?
Tutto comincia dalla figura del wine maker – non l’enologo in senso tecnico – ma colui che, nell’idea di fare vino, abbraccia tutto il processo, da come e dove piantare le barbatelle alla filosofia che le accompagna, dal tipo di uva scelta alla vinificazione, il tutto in armonia con la filosofia aziendale, per ottenere un vino perfettamente aderente allo stile adottato dal viticoltore. Oggi possiamo classificare il prodotto finale in due macrocategorie. Il vino che dà soddisfazione, dove l’elemento riconoscibile è l’uva, quindi un calice in cui ritrovare la tipicità della varietà e che richiama un certo abbinamento col cibo. La seconda è data dal vino che dà emozione: ogni sorso riesce a trasmetterti vibrazioni e a trasportarti nel posto dove quell’uva nasce. Bevendo riesci a capire se quel vino viene dal nuovo mondo o dal vecchio, dalla collina o dalla pianura, da un suolo calcareo o argilloso. Questa diventa un’esperienza, da cui non si torna più indietro. È come quando passi dall’ascolto di una buona musica a una grande sinfonia in cui non senti solo la batteria, ma apprezzi il silenzio tra una nota e l’altra. Quando conosci un vino emozionante entri in questa dimensione. Il saggio “La Strategia dell’oceano blu” mi ha aperto gli occhi: è un libro legnoso, fatto di bilanci e teorie economiche, eppure intrigante, pervaso di uno spirito “zen”. Un saggio che ti obbliga ad affrontare ragionamenti e che in qualunque direzione ti voglia muovere, ti indica che cosa non devi fare.
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Come si applica questa strategia al vino?
Per consolidare un progetto e renderlo di valore, devi essere coerente in modo che ogni passaggio vada poi a coincidere in un punto di arrivo, così da trasformare un’idea originale in una autorevole e inattaccabile. Quando il mercato comincia a saturarsi e il conflitto della concorrenza è sempre più serrato, per vincere o sei una multinazionale che si fonde con altre grosse realtà, così da produrre monopolio, oppure eviti di entrare nell’arena, e ti tuffi nell’oceano blu dove vinci perché non c’è concorrenza. Come? Cercando con onestà un’identità forte, in un prodotto a cui siano riconosciuti valore, originalità, forza e unicità. Tutto ciò è contenuto nel concetto di terroir: un vino che ti racconta non solo l’uva, la varietà e gli attori, ma il luogo da cui viene, la singola sottozona, la storia che c’è dietro, lo stile. Ad esempio: se parlo genericamente di Cabernet Sauvignon si palesa subito il conflitto: automaticamente si tirano in ballo California, Australia, Bordeaux, tutta l’Europa… E per farlo più buono devi lottare con un meccanismo molto complesso. Ma se sei a Montalcino e non parli solo di Brunello, ma di Castelnuovo dell’Abate, Sant’Angelo in Colle o di un’altra sottozona riconoscibile; o sulla collina dell’Hermitage con Domaine Jean-Louis Chave o in Borgogna con Romanée Conti, allora ti stai riferendo a progetti consolidati, solenni, immediatamente riconoscibili: insomma stai navigando nell’oceano blu. Del mio vino mi interessa che sia realmente differente, che l’identità del mio vigneto sia sapientemente portata in un bicchiere. E che questo bicchiere sia ripetibile nell’eccezionalità e nella sfumatura, tanto da convincere un consumatore a fotografarlo, ma senza orientarlo sull’uva. Se il mio Brunello Poggio al Sole ha un’identità forte, nessun degustatore potrà dire di averne assaggiato uno più buono, al massimo potrà affermare di averne provato uno diverso. Ma oltre ad essere differente, il vino deve anche avere un valore inattaccabile. Non a caso oggi è esploso il concetto di cru.
Quali sono gli elementi imprescindibili di questa strategia?
Per consolidare un brand in un progetto blue ocean, i due concetti chiave sono storia e scienza. La prima è inattaccabile: che in Borgogna sia passato Napoleone è fuori discussione. E in quest’ottica lo storytelling è fondamentale per il raggiungimento della suggestione che il vino deve suscitare. La scienza, d’altro canto, permette di definire dati oggettivi quali clima, geologia, umidità, intensità della luce, altitudine, escursione termica e così via.
Che ruolo ha il sommelier nella Blue Ocean Strategy del vino?
Ha un ruolo fondamentale, ma solo se esce dall’aspetto standard della riconoscibilità dei vini in base alla varietà. Se il sommelier fa un passo avanti e, fatto proprio il valore dell’uva di partenza, entra negli aspetti più profondi legati a terroir, storytelling e filosofia dello stile, può raccontare il vino nella sua completezza. Così facendo, da mero arbitro del gusto in funzione dell’uva, entra in merito all’interpretazione, diventando ambasciatore del gusto identitario di quel prodotto e wine storyteller.
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