COLLABORARE È RICONOSCERE LA COMPLESSITÀ

IL MONDO DEL VINO E DELL’AGROALIMENTARE NON POSSONO PRESCINDERE DA UNA PAROLA: COLLABORAZIONE. IL PERCHÉ, CE LO SPIEGA IL PROF. LUCIO FUMAGALLI, PRESIDENTE DELL’INSOR, L’ISTITUTO NAZIONALE DI SOCIOLOGIA RURALE

Emanuele Cenghiaro

L’Insor oggi si occupa anche del settore vitivinicolo. Perché?
Perché più degli altri è quello che induce l’agricoltura a fare sistema, dal paesaggio alle competenze agronomiche e così via. Sottolineo alcuni punti: l’Italia è leader mondiale nella vivaistica, ciò assicura una competenza riconosciuta a tutta la filiera, e nella produzione di macchinari del settore. Non è un frutto del caso, non potrebbero esserci queste leadership se in Italia non esistesse una struttura vitivinicola composta da un insieme di operatori colti ed esperti, key users estremamente qualificati. Tra questi rientrate anche voi Sommelier: è fondamentale la presenza di una popolazione altamente qualificata che partecipa e fa sviluppare una cultura condivisa del vino e dei territori a esso dedicati.

Questo spiega perché parlare di collaborazione è importante …
È fondamentale. Ma non si può prescindere quindi da una caratteristica innata nell’agricoltura italiana, la sua “complessità”, di cui il settore vitivinicolo è esemplare. Questa complessità è causa di una annosa polemica, ovvero se si debba puntare a un ampliamento della gamma o a una sua riduzione per renderla più standardizzata e facilitare la penetrazione sui mercati internazionali, che avviene in larga misura attraverso la GDO e grandi distributori per i quali la frammentazione è negativa.

È così, secondo voi?
No. La novità che si riscontra in questi anni, in tutti i settori e nell’agrifood in particolare, è l’attenzione crescente del consumatore finale nei confronti dei prodotti ad alta connotazione. Presentarsi a una festa tra amici con un’etichetta molto famosa, anche costosa e di qualità ma standard, non è più qualcosa di distintivo quanto proporre un prodotto che permetta un’esperienza diversa, una narrazione più ricca.

Quindi?
Collaborazione tra consorzi, tra regioni, certo, ma non per semplificare bensì facendo attenzione a non disperdere le caratteristiche distintive delle singole produzioni, né rinunciare all’alta qualità. Sarebbe strano se andasse controcorrente proprio il Paese che più potrebbe beneficiare di quello che Chris Anderson chiama modello della “Coda Lunga” (secondo il quale molti prodotti di nicchia potrebbero generare più profitto di pochi prodotti di massa, N.d.R.). Mentre i mercati si orientano in modo crescente verso le nicchie, noi non possiamo incominciare a sfoltirle!

Però sono pochi i prodotti che “sfondano” i mercati …
È vero, l’Italia esporta il 90% del suo agrifood in un numero troppo limitato di prodotti. Ma vi sono altri mercati, come quelli indiano e cinese, dove godiamo di buona immagine ma non abbiamo ancora conseguito le quantità; sono mercati con panieri molto diversi da quelli delle vecchie economie forti. Abbiamo visto cosa è successo con i dazi statunitensi: ciò che ha penalizzato altri Stati potrebbe un giorno farlo pure con noi. Per questo dobbiamo cercare questi altri mercati e arrivarci, collaborando, con panieri differenziati. [ihc-hide-content ihc_mb_type=”block” ihc_mb_who=”unreg” ihc_mb_template=”3″ ]

E qui, la collaborazione, come ci entra?
Patrimonio comune deve essere la capacità di fare sistema e sviluppare, già nei territori, il massimo grado di “intimità” con il mondo esterno. È il fattore “estroflessione”: quanto più una comunità cresce nella capacità di intrattenere dialoghi con gli altri sistemi, tanto più diventa resiliente e capace di individuare le alternative, quegli elementi di utilità che gli permettano di comprendere su cosa scommettere. Aumenta il capitale sociale, la ricchezza culturale e la capacità dialogica dell’intero sistema.

Collaborazione significa fare alleanze, quindi. Con chi?
Quante ne vuole, bisogna però partire da un’analisi e comprensione, dal fare chiarezza sulle filiere e i rapporti con i territori, dal dare valore a tutta la viticoltura anche di nicchia così come alla vivaistica, alla meccatronica e a tutto il resto. Quali alleanze, quindi? Con l’uva da tavola, ad esempio. Con la filiera dell’olio di oliva, che premia la salute oltre all’economia. Con altri leader mondiali nell’enologia, e non intendo solo i francesi ma tutte le comunità produttive, ad esempio quelle mediterranee o della America australe, per fare crescere assieme il mercato mondiale. Letto in questo senso, il tema collaborazione come Insor non lo affrontiamo per “insegnare” agli operatori a comportarsi, ma a riconoscere l’esistenza di ecosistemi che, una volta avviati, hanno capacità generativa che supera di molto i confini delle piccole analisi numeriche sulla crescita o meno di un anno su di un altro.

Come possono muoversi “collaborativamente” i produttori vitivinicoli?
La prima alleanza da fare è con i propri territori in tutte le loro dimensioni. L’esempio migliore è lo sviluppo del settore agrituristico, un fenomeno che ha fatto diventare le aziende agricole realmente multifunzionali e le ha trasformate in elementi rilevanti per la ri-qualificazione del territorio. Ha cambiato anche la “dimensione sociale” dell’agricoltore: in un mondo sempre più urbano e industriale era diventato una figura solitaria, sganciata persino dalla propria famiglia. L’agriturismo è un esempio di come modificare alcuni tratti delle aziende rendendole più ospitali e compatibili anche con le parti del nucleo familiare che non hanno una vocazione agricola. Ecco che la casa rurale, per ospitare il turista, si riqualifica, impara le lingue, ridistribuisce l’organizzazione, migliora l’integrazione con il tessuto sociale.

 

[su_box title=”Che cos’è INSOR?” style=”noise” box_color=”#5e0230″ title_color=”#fff”]L’INSOR (Istituto Nazionale di Sociologia Rurale), per anni presieduto da Corrado Barberis, padre della sociologia rurale italiana, è nato nel 1959 ad opera di Giuseppe Medici, già Ministro dell’agricoltura, per promuovere lo studio della società rurale analizzandone i fenomeni anche dal punto di vista quantitativo. L’Insor si occupa da anni e forse per primo dei prodotti tipici, di cui ha redatto vari Atlanti, collabora con Istat ai Censimenti agricoli decennali e coinvolge le principali rappresentanze del settore primario (Coldiretti, Cia, Confagricoltura, e associazioni cooperative e realtà anche del mondo della trasformazione). Sta in questi mesi lavorando all’Atlante dei vitigni e vini laziali.[/su_box] [/ihc-hide-content]