VITIGNI MINORI, SÌ, MA CRESCERANNO

Ugo Baldassarre

Se parli dei vitigni di Puglia istintivamente ti viene da pensare alle uve scure di Negroamaro, Nero di Troia, Primitivo, Aleatico, Malvasia Nera o, tra i bianchi, al Bianco d’Alessano e alla Verdeca. Poi, in seconda battuta, non puoi non menzionare il Bombino, soprattutto il bianco, quel “buon-vino” che i contadini significativamente chiamano Stracciacambiali, così come analogamente accade in Romagna per le uve da raccolto sicuro, come il generoso Pagadebit. Ma oltre a questi nomi c’è di più, c’è un inestimabile patrimonio di vitigni minori. Di alcuni, purtroppo, ci restano solo tracce testimoniali, associate a nomi come Colatamburro, Luvino, Sancinella, Mennavacca e Cuntrella. Ciò vale anche per un vitigno di sicura qualità, il cui vino nell’800 veniva riservato dai contadini solo agli ospiti di riguardo, il Gravisano, anch’esso appartenente al ricchissimo areale di Gravina, ampiamente documentato come vitigno vendemmiato tardivamente, a seguito di un lungo appassimento su alberello, per ottenerne un prezioso vino dolce.

Il patrimonio ampelografico pugliese si è consolidato, in tempo immemorabile, per una prima immigrazione di vitigni provenienti soprattutto dalla “Capuania Felix”, quella terra fertile che vedeva il suo epicentro nella città di Capua. A distanza di secoli fu Federico II, affinché i suoi vini potessero seguirlo nelle soste nei castelli pugliesi, a portare con sé il Greco. Il Fiano, invece, proveniente originariamente da Cava de’ Tirreni, per volere degli Angioini fu fatto trapiantare a Manfredonia nel ‘300. Derivazione simile, da terre campane, anche per l’Ottavianello, il cui nome contiene chiaramente il luogo d’origine, il paese di Ottaviano, abbarbicato alle falde del Vesuvio. Più difficile, invece, identificarne il clone che molti assimilano alla variante di Cinsault presente nel francese Châteauneuf-du-Pape. Fatto sta che il riscoperto Ottavianello, vinificabile anche in purezza sin dal ‘72 con indicazione varietale nella Doc Ostuni, solo oggi finalmente riceve la giusta attenzione. Sono un paio le aziende che lo hanno messo in produzione, e i risultati raccontano di un vino dal profilo giovanile, con sentori floreali e leggermente speziati, ricordi di melograno e amarene. In bocca è agile e morbido, con tannini dolci e delicati: in molti scommettono su un suo futuro da “rosso da pesce”. Storia diversa per il Susumaniello, vitigno che trae le sue origini dalla dirimpettaia costa dalmata, presente in Puglia praticamente da sempre negli stessi vigneti ad alberello del Negroamaro. Quando però, sul finire del secolo scorso, si passò ai sistemi a spalliera, il Susumaniello non fu reimpiantato e rischiò di estinguersi.

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Fortunatamente, il recente lavoro di recupero messo in atto da alcuni enologi ha portato non solo al suo utilizzo in uvaggio, ma anche alla sua vinificazione in purezza. Le note gustolfattive raccontano di un vino dai sentori di frutta rossa di rovo, ribes e mirtilli, decisamente morbido, quasi avvolgente, con aroma di bocca speziato e balsamico. Il Fiano Minutolo, oggi semplicemente Fianello o Minutolo, inizialmente fu accomunato al Fiano, quello utilizzato con Verdeca e Bianco d’Alessano nell’uvaggio del Locorotondo Doc. Anche se non ascritto al novero degli aromatici, non sfigura al cospetto di Moscati e Malvasie e in degustazione presenta intriganti note muschiate, profumi di bergamotto camomilla e pescanoce, è fresco e sapido ed ha lunga persistenza al retrogusto. Infine, tra i bianchi, non vanno dimenticati l’Impigno, diffuso soprattutto nel brindisino in uvaggio nella Doc Ostuni e il Francavidda, autoctono originario di Francavilla Fontana, che attualmente è usato come complementare in percentuali ancora minori dell’uvaggio nella medesima Doc Ostuni.

Stato dell’arte dei vitigni minori pugliesi

Massimo Tripaldi, Presidente di Assoenologi Puglia Basilicata e Calabria, traccia un breve resoconto sullo stato attuale del processo di studio, recupero e utilizzo dei vitigni minori di Puglia. I dati, riferiti al numero di ettari impiantati, si riferiscono al 2015. Da un recente studio condotto dal CRSFA, Centro di Ricerca Sperimentazione e Formazione Agricola di Locorotondo, sono stati descritti e catalogati una cinquantina di vitigni tradizionali in Puglia. Di questi, alcuni già coltivati, vinificati e imbottigliati in quantità interessante, altri sono stati recuperati, alcuni già registrati e si conducono prove di vinificazione per valutarne bene i risultati enologici. La loro riscoperta è importante per l’identità viticola della regione, sia per tutelare la biodiversità, ma anche per offrire al mercato sempre più varietà e tipicità, che valorizzano sempre più il patrimonio storico e culturale. Il più coltivato tra i minori è il Susumaniello, con 75 ha, molto presente nell’areale salentino e da cui si ottengono importanti vini rossi e rosati, molto apprezzati dal mercato e per questo ogni anno aumentano sempre più gli ettari impiantati. Diverse aziende hanno iniziato a impiantare l’Ottavianello (35 ha), sempre per la produzione di vini rossi, vinificarlo e imbottigliarlo in purezza, con risultati molto interessanti in quanto si ottengono vini molto fini e particolari. Fra i bianchi abbiamo il Minutolo (17 ha), da cui si ottengono vini molto espressivi, con spiccati profumi floreali. Utilizzato soprattutto per produrre vini fermi, da ultimo viene anche spumantizzato da alcune aziende con ottimi risultati. Il Moscatello selvatico (59 ha), molto diffuso nell’areale subito al nord di Bari, in passato molto utilizzato nella produzione di vini passiti e spumanti, oggi alcune aziende cominciano ad imbottigliarlo fermo, in purezza, con risultati davvero molto interessanti. Oltre a questi, si stanno valutando le vinificazioni delle varietà Marchione, Maresco, Francavidda, Palumbo, sia per la produzione di vini fermi che di spumanti e sicuramente nei prossimi anni ne sentiremo parlare.

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